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 2010  ottobre 17 Domenica calendario

SANZIONI MIRATE PER EVITARE CONFLITTI

Le sanzioni internazionali non godono di buona reputazione. L’idea che un paese o gruppo di paesi imponga sanzioni diplomatiche o blocchi economici a un’altra nazione al fine di generare un cambiamento nella sua condotta non è molto apprezzata. Alcuni criticano le sanzioni perché colpiscono le popolazioni dei paesi sanzionati e non i loro governi. Saddam Hussein e la sua famiglia non hanno certo sofferto per l’assenza di medicine, i bambini iracheni sì. Altri invece le criticano perché non raggiungono il loro obiettivo. Per esempio, la Corea del Nord non ha modificato le sue politiche, nonostante si trovi da decenni sotto un regime sanzionatorio.

Molti interpretano le sanzioni come la cruda espressione del potere dei più forti. Solitamente, sono le grandi potenze a imporre sanzioni a paesi più deboli. Sono anche molto criticate perché forniscono ai dittatori un’ottima scusa per giustificare le carestie e gli abusi cui costringono le popolazioni. E sono molto utili per incitare quelle passioni nazionaliste che uniscono la nazione contro l’aggressore straniero. E ancora più utili nel caso di un’aggressione internazionale, quando risulta più facile considerare chi dissente o si oppone al governo come traditore, e spedirlo così in carcere. Nonostante questa impopolarità e i loro evidenti difetti, le sanzioni rappresentano uno strumento utilizzato sempre più di frequente nella politica internazionale. Com’è possibile? Il fatto è che l’alternativa alle sanzioni è costituita dalla guerra.
I conflitti internazionali sono destinati a non scomparire. E una volta terminati i negoziati diplomatici, conviene che nell’arsenale governativo ci sia altro oltre alle bombe. Il fatto che di fronte a un conflitto internazionale i governi abbiano la possibilità di consultare avvocati specialisti in materia di sanzioni, piuttosto che dispongano dell’unica opzione di contattare generali esperti in guerre e invasioni, rappresenta un aspetto positivo.
Per questo, negli ultimi anni sono stati impiegati grandi sforzi nello sviluppare sanzioni "intelligenti". Si tratta di sanzioni più "personalizzate", in quanto riguardano direttamente le alte cariche governative e le loro famiglie, che si vedono confiscare proprietà e conti bancari all’estero e limitare le libertà di spostamento all’estero. Si tratta di sanzioni più sofisticate anche dal punto di vista finanziario. Oggi, anche i paesi più isolati e meno sviluppati dipendono in maniera significativa dal proprio accesso al sistema finanziario internazionale; di conseguenza, il fatto che le sanzioni limitino questo accesso ha su di loro un forte impatto. Queste nuove modalità sanzionatorie utilizzano inoltre le complesse reti logistiche su cui si fonda il moderno commercio internazionale per controllare e restringere importazioni ed esportazioni dei paesi sanzionati.
Indubbiamente, per tanto "intelligenti" che siano, le sanzioni avranno comunque dei difetti. Inoltre, la loro efficacia dipende dall’adesione e la volontà politica di molti paesi. Come dimostra il caso di Cuba, a nulla è servita l’imposizione di sanzioni da parte degli Stati Uniti, dato che il governo cubano ha continuato ad ottenere quanto desiderato da - o attraverso - paesi amici.
È per questo che uno dei maggiori successi attribuibili al governo di Barack Obama è di aver ottenuto il consenso di Cina e Russia, insieme a Europa e Asia, nell’applicare sanzioni all’Iran. Queste sanzioni impediscono che banche e agenzie di assicurazione interagiscano con le imprese iraniane, autorizzano l’ispezione di navi mercantili in alto mare e nei porti, congelano i fondi esteri appartenenti a persone e organizzazioni come la Guardia Rivoluzionaria e limitano i viaggi dei leader iraniani all’estero. Inoltre, penalizzano quei paesi e imprese straniere che vendono petrolio o prodotti petroliferi raffinati all’Iran, o che contribuiscono a incrementare il proprio know how nel processo di raffinazione petrolifera.
Nonostante le nuove sanzioni siano molto recenti (sono state approvate dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite soltanto tre mesi fa) il loro impatto è già tangibile. Compagnie petrolifere come l’italiana Eni o la francese Total hanno già annunciato la sospensione delle proprie operazioni in Iran, dove un ministro ha informato che le importazioni di benzina nel paese sono scese al livello più basso degli ultimi dieci anni. Inflazione e disoccupazione sono in aumento, e l’attività economica ha subito un rallentamento.
Ali Akbar Hashemi Rafsanjani è un ex presidente attualmente a capo dell’Assemblea degli esperti, un consiglio composto da 86 personalità ecclesiastiche con l’autorità di destituire il leader supremo iraniano, l’ayatollah Ali Khamenei. Rafsanjani ha raccomandato all’Assemblea di non sottovalutare le nuove sanzioni: «È la prima volta che soffriamo sanzioni così dure, e stanno diventando ogni volta più pesanti. Ogni volta che troviamo un modo per aggirarle, le potenze occidentali ce lo vietano».
Speriamo che queste sanzioni abbiano successo e portino i paesi coinvolti al tavolo dei negoziati e alla ricerca di un compromesso. In questo modo si sarà evitata un’altra possibile guerra. È questo l’aspetto più intelligente.