Jonathan Littell, Corriere della Sera 18/10/2010, 18 ottobre 2010
CECENIA, DOVE SI PUO’ SPARARE A UNA FIGLIA
La nuova islamizzazione della Cecenia procede in modo molto diseguale; lo si è visto nel caso dell’alcol, facilmente accessibile e bevuto da molti, nonostante i tentativi di vietarlo. Nelle osterie, se non vendono direttamente la vodka, sanno dove trovarla per il cliente che la desideri. Ma sono soprattutto le donne a fare le spese del «ritorno alla tradizione» del presidente Ramzan Kadyrov.
«La dittatura che si va instaurando si fonda anche sull’umiliazione delle donne», constatava in aprile Natalja Estemirova di fronte alla telecamera di Mylène Sauloy. Il velo è già obbligatorio in tutti gli edifici pubblici e all’università; all’ingresso della sede della stampa cecena, ad esempio, un cartello annuncia: «Care donne! Allo scopo di mostrare rispetto per le tradizioni e le usanze nazionali, vi preghiamo caldamente di entrare nell’edificio a capo coperto». Tanja Lokšina, a Mosca, mi racconta come, nonostante la croce che indossa e un volto che più russo non si può, un giorno le guardie l’abbiano cacciata dall’università perché aveva dimenticato il foulard.
Ramzan e la sua cerchia predicano (e praticano) inoltre molto apertamente la poligamia, insistendo sulla scarsità di uomini ceceni dopo la guerra e sull’obbligo, per le donne, di «comportarsi bene», con accompagnamento di minacce: «Per una donna è meglio essere una seconda o una terza moglie che venire uccisa (sottinteso: per cattiva condotta)», ha dichiarato Kadyrov in aprile in un’intervista concessa alla «Rossiiskaja Gazeta». A Groznyj, alcuni amici mi indicano gli appartamenti delle numerose mogli di Ramzan, facilmente individuabili per via delle guardie che circondano gli accessi e degli sbarramenti che bloccano la strada. A quanto pare, le donne che suscitano il suo interesse non hanno molto da scegliere; solo una, mi è stato raccontato, la vincitrice di un concorso di bellezza, ha saputo resistere piuttosto astutamente alle sue avance, dichiarandogli che lo avrebbe sposato solo se fossero venute a chiederglielo sua madre e la sua prima moglie.
Sembra in effetti che la questione del comportamento delle donne ossessioni Kadyrov. In un’intervista molto rivelatrice pubblicata sul «GQ» russo nel giugno 2008, Ramzan spiega che «la donna deve apprezzare (la protezione degli uomini) e sapere qual è il suo posto. Ad esempio, nella nostra famiglia nessuna donna ha mai lavorato e mai lavorerà». Ed è evidente che Ramzan ritiene suo dovere, come presidente, imporre personalmente queste regole di buona condotta.
Quando, nel novembre scorso, intorno a Groznyj furono ritrovati i cadaveri di numerose donne, fece scandalo dichiarando (senza la minima prova) che si trattava di delitti d’onore, e lasciando capire di trovarlo normale. Una giornalista della «Novaja Gazeta» mi ha raccontato che nel 2005 o 2006, quando era ancora vice primo ministro, Ramzan si era recato in un grande ristorante moscovita, il Praga, in compagnia di Sulejman Jamadaev e di vari funzionari russi. Un tale aveva avuto la brillante idea d’invitare due prostitute cecene, che avevano danzato di fronte ai clienti; l’indomani le due ragazze erano state ritrovate uccise, e la polizia di Mosca ha appena arrestato per quei delitti un ceceno, che prima di passare al servizio di Ramzan lavorava per Jamadaev
A Kadyrov il diritto di picchiare o uccidere le mogli o le figlie sembra così fondamentale che lo usa come argomento per incoraggiare il ritorno dei ceceni esiliati in Occidente. In febbraio ha riunito in uno studio televisivo quasi quattrocento ex combattenti, fra cui personaggi molto noti, arringandoli in diretta per quattro ore e venti minuti. Tornando su un incidente al quale già in precedenza aveva dato molto risalto — la storia di una ragazza cecena della diaspora che, picchiata dal padre, lo aveva denunciato alla polizia del Paese di accoglienza —, si è lanciato in una straordinaria tirata, tradotta in russo sul sito Prague Watchdog: «(Il ceceno della diaspora) deve già sapere di non essere più un uomo se sua figlia ha il numero di telefono della polizia nella rubrica del cellulare. Ogni ceceno ha paura che faccia quella telefonata, non venitemi a dire che un solo ceceno non ha paura che chiami quel numero! Se dice che oggi è un uomo, domani forse non sarà già più un uomo, domani non potrà già più rispondere di sua figlia, dire dark (imita il rumore di uno sparo) e piantarle un proiettile in fronte. Se non puoi ucciderla così, è una cosa seria? E se lui non la uccide, che razza di uomo è? Si disonora! Oggi è un uomo, e domani non è più un uomo. Non può vendere così il suo futuro!» Traduzione: i ceceni sono fuori posto in Europa, dove ognuno ha sul gobbo un poliziotto che gli impedisce di fare quello che deve fare, come lo deve fare, quando lo deve fare.
Certo, Mosca vede benissimo cosa succede, ma lo archivia fra le «tradizioni locali» e chiude gli occhi; come dice Olivier Roy, «la loro ossessione è di contrastare i wahhabiti, e delle donne cecene non gl’importa niente, della società cecena in generale non gl’importa niente». Ma, per l’appunto, queste pratiche sono tutt’altro che tradizionali.
Certo, le donne cecene sono sempre vissute sotto un forte controllo sociale, ma quel controllo poteva essere esercitato solo dagli uomini della loro famiglia — padre, marito o fratelli. La questione del comportamento delle donne era una faccenda strettamente familiare, e ogni famiglia poteva decidere quanta libertà d’azione concedere o meno alle sue donne. Dieci anni or sono, se un uomo si permetteva di insultare una sconosciuta per strada, rimproverarla pubblicamente per il suo abbigliamento, come ora accade tutti i giorni, a Groznyj, la cosa poteva anche dare adito a una faida; al massimo, si poteva domandare alla donna il nome di suo padre, e poi andare a suggerirgli di stare più attento alle sue figlie.
Ricordo certe conversazioni con alcuni combattenti di Šamil Basaev, nel 1996, che mi raccontavano come Khattab, un fondamentalista saudita vicino a Bin Laden, avesse tentato di imporre lo hijab: i combattenti avevano preso le armi per andare a spiegargli che, pur essendo felici che fosse venuto a fare il jihad con loro, era pur sempre uno straniero, e non spettava a lui dire alle loro donne come vestirsi.
Invece i miei interlocutori al governo non vedono nessun problema in questa politicizzazione del controllo sociale. Come scriveva, a marzo, il giornalista ceceno Magomed Torev in un articolo pubblicato sul sito Prague Watchdog, «Ciò che (Ramzan) capisce della tradizione ha a che vedere con l’adat (il diritto tradizionale) ceceno quanto, ad esempio, la Legge dei ladri (il codice dei vecchi criminali sovietici) con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo».
Valid Kuruev, da parte sua, prega Allah perché il governo vari una legge che renda il velo obbligatorio: «Se le donne si coprono la pelle, la loro bella pelle, non ci saranno più stupri, no?». Mi spiega come la nonna materna, di 109 anni, a Goity, continui a vestirsi come un tempo, coprendosi la testa e il corpo con vari strati di stoffa: «Una volta tutte vivevano così! E lei vive ancora così. Una volta, quando un uomo usciva, una donna non attraversava nemmeno la strada! Se vedeva un vecchio, tornava indietro! Questo era il rispetto dovuto agli anziani, agli uomini. E adesso, guardi: le gonne con lo spacco, Al governo sono tutti musulmani, no? Nemmeno loro vogliono che le proprie figlie se ne vadano in giro così».
© Jonathan Littell - Einaudi editore