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 2010  ottobre 18 Lunedì calendario

L’ITALIA (PERDUTA) DEI TRENINI. ADDIO ALL’ULTIMO «PAPA’» —

La fabbrica se n’era andata nella primavera del 2008, le ruspe inerpicate sulle colline che abbracciano Como, la polvere sospesa nell’aria a far velo alle sue lacrime. Lui ha aspettato giusto un paio d’anni, e l’ha seguita.
Alessandro Rossi è morto sabato mattina, a 89 anni, nella casa di montagna dove si era trasferito da tempo, a Cortina. Sullo sfondo, quei panorami che negli anni 60 dominavano le pubblicità delle sue «creature»: i trenini Rivarossi, gioielli scintillanti che senza fatica apparente si inerpicavano su impervie ferrovie a cremagliera. E con l’«ingegnere» se ne va per sempre anche l’età dell’oro del modellismo su rotaie made in Italy.
Due i nomi scolpiti nella memoria di chi è stato bambino in Italia, dal dopoguerra in poi: Rivarossi e Lima. La «Lavorazione Italiana Metalli e Affini», nata a Vicenza per riparare locomotive e vagoni — quelli veri — danneggiati durante il conflitto, e presto riconvertitasi nel magico laboratorio da cui uscivano i giocattoli in metallo destinati ai figli del «baby boom». Batterie di pentole in miniatura, automobiline colorate. Finché, nel 1954, ecco materializzarsi il futuro. Nella persona di un altro ingegnere: Ottorino Bisazza, classe 1901, scomparso a Padova nell’87. Se Rossi è stato il papà dei trenini Rivarossi, lui lo è stato dei «rivali» Lima. Un duello in cui cerca di inserirsi un terzo sfidante, la Conti Co.Mo.GE.: nata come ditta di giocattoli nel 1889, si butta nella fermodellistica — così si chiama la produzione di micro-locomotive e vagoni — nel 1946, per chiudere i battenti già nei primi anni 60.
Resta Como contro Vicenza, dunque, ed è una corsa su rotaie che finirà — in maniera bizzarra — solo negli anni 90. Perché all’inizio, è Bisazza a prendere spunto da Rossi; se dal ’45 in poi l’azienda lombarda si fa un nome, in Europa e nel mondo, per l’altissima qualità dei prodotti, dai prezzi elevati e per un mercato «adulto», la concorrente veneta nasce da un ragionamento semplice: conquistati i padri, resta da «lavorare» sui figli. Quindi, plastica al posto del metallo, meno attenzione ai dettagli (compresa l’adesione a modelli realmente esistenti, vanto della Rivarossi) e più all’impatto «scenografico». Due approcci diversi, un risultato comune: convogli in miniatura in grado di conquistare il mondo.
Inevitabile che l’«impero dei treni» arrivi a schierare i propri battaglioni in maniera compatta, soprattutto quando all’orizzonte spuntano le armate della tedesca Marklin. E infatti, nel 1992, una Lima in amministrazione controllata viene raccolta in un abbraccio protettivo dalla Rivarossi. Un gioco che si ripete, a ruoli invertiti, nel 2000, quando nasce la Lima Spa: sede a Brescia, produzione a Isola Vicentina.
Sembrava che ce la potessero fare, i trenini del dopo-boom. Che i giocattoli made in Italy fossero più forti dello tsunami elettronico venuto da Oriente. Persino della globalizzazione produttiva, cui Rossi aveva già resistito negli anni 70, decidendo — controlli di qualità alla mano — di non « delocalizzare » a Hong Kong, ma di rimanere lì, sul «suo» lago di Como. Un sogno destinato a infrangersi, nel 2004, contro due istanze di fallimento, pronte per il tribunale di Brescia. La salvezza arriva da oltremanica, e si chiama Hornby: è l’azienda inglese, oggi, a produrre con i marchi Lima e Rivarossi. In Cina. L’ultima sconfitta dell’ingegner Rossi, che sabato se n’è andato, in punta di piedi.
Gabriela Jacomella