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 2010  ottobre 18 Lunedì calendario

UCCISA E SCIOLTA NELL’ACIDO LA DONNA CHE DENUNCIO’ LA ‘NDRANGHETA A MILANO — C’è

voluto quasi un anno d’indagine per far luce sul mistero di Lea Garofalo. Lei, ex collaboratrice di giustizia e compagna di uno dei soldati della faida dei calabresi di Petilia Policastro (Crotone) trapiantati a Milano, era sparita lo scorso 24 novembre. Con i suoi segreti, si disse, tanto che tra le piste battute dai carabinieri c’è stata anche quella di un allontanamento volontario. Ma la storia di Lea Garofalo, 35 anni e una figlia di 17, è oggi il racconto di una vendetta della ’ndrangheta. Per la Dda di Campobasso, città nella quale la donna s’era trasferita dopo la collaborazione con la giustizia, Lea Garofalo è stata uccisa e il suo corpo sciolto nell’acido. Lupara bianca.
Proprio dal capoluogo molisano, nella tarda serata di ieri, sono emerse le prime notizie sulle indagini dei carabinieri. Già nel febbraio scorso era finito in manette l’ex convivente Carlo Cosco, 40 anni, coinvolto in inchieste antimafia alla fine degli anni Novanta a Milano e cugino di Vito Cosco, autore della strage di Rozzano (Milano) che lasciò a terra quattro morti per questioni di droga nell’agosto del 2003. L’accusa, quella di aver organizzato un tentativo di omicidio nel maggio del 2009 proprio a Campobasso. Con lui, in cella, Massimo Sabatino, 37 anni, spacciatore nella zona di Quarto Oggiaro, che avrebbe materialmente cercato di ucciderla.
Ora, con la conferma della morte da parte degli inquirenti, non si escludono sviluppi nelle indagini. Il 24 febbraio scorso, sempre per la sparizione della donna, erano state arrestate in Molise altre due persone, per aver messo a disposizione alcuni capannoni (nel Milanese) dove la donna sarebbe stata portata dopo la scomparsa. Ma di quanto accaduto realmente quel 24 novembre si conoscono ancora pochi dettagli. La donna nel 2002 aveva iniziato a collaborare con l’Antimafia nelle indagini sulla faida tra i Garofalo e il clan rivale dei Mirabelli. Poi, nel 2006, aveva abbandonato il piano di protezione e lasciato la località segreta dove viveva. Nelle sue dichiarazioni, Lea Garofalo aveva parlato anche degli omicidi di mafia avvenuti alla fine degli anni Novanta a Milano. Come quello di Antonio Comberiati, nel 1995, nel quale era stato coinvolto anche il fratello.
Ma le indagini avevano sfiorato anche il convivente Carlo Cosco. Entrambi vivevano nello stabile di viale Montello, 6, nel centro di Milano. Un palazzo che ancora oggi ospita molti parenti dei caduti della guerra di mafia. E qui la donna s’era recata lo scorso 24 novembre per una riunione di famiglia con alcuni parenti per decidere dove la figlia avrebbe proseguito gli studi dopo le superiori. Le sue tracce si sono perse nel pomeriggio quando alcune telecamere l’hanno inquadrata nella zona del palazzo e lungo i viali che costeggiano il cimitero Monumentale. Era sola, la figlia e il padre — lo stesso Carlo Cosco finito poi in manette —,erano in stazione Centrale ad attenderla insieme al treno che avrebbe dovuto riaccompagnarla al Sud. Un treno sul quale Lea Garofalo non è mai salita.
Cesare Giuzzi