Federico Fubini, Corriere della Sera 18/10/2010, 18 ottobre 2010
QUANDO GLI ABITANTI DEL PIANETA COMINCERANNO A CALARE —
Per i seguaci di Thomas Robert Malthus sono le prime buone notizie da più di due secoli. Il pastore del Surrey , che nel 1798 proclamò l’insufficienza delle risorse della Terra per un’umanità in aumento, per ora ha avuto torto. Da allora la popolazione mondiale è passata da 800 milioni e oltre sei miliardi, mentre la produzione di cibo è esplosa grazie all’industria e alle tecnologie.
Eppure ciò che sta per accadere rappresenta lo stesso una svolta nella storia umana: il numero degli abitanti del Pianeta per la prima volta smetterà di crescere, e lo farà prima e più nettamente di quanto si credesse. Fra una generazione saremo un miliardo e mezzo in meno rispetto alle attese create dalle ultime stime dell’Onu. L’umanità non arriverà mai a quota dieci miliardi nel 2050, come annunciato dallo United Nations Environment Program nel 2001. Sulla scia di quei dati, Thomas Friedman del New
York Times l’anno scorso ha pubblicato «Il mondo è piatto, caldo e affollato», un best seller che applica al ventunesimo secolo il celebre pessimismo di Malthus. I numeri dicono invece che il mondo sarà meno affollato, dunque probabilmente anche meno riscaldato dall’effetto-serra, ma sicuramente più anziano.
Alle tendenze attuali, il picco della popolazione mondiale arriverà nel 2040 e dovrebbe collocarsi attorno agli 8,5 miliardi di abitanti. Jean de Kervasdoué, un economista francese esperto di sanità pubblica e demografia, docente al Conservatorio nazionale delle arti e dei mestieri di Parigi , ne ha parlato nel weekend a Marrakech. L’occasione era la World Policy Conference dell’Ifri, l’istituto di relazioni internazionali di Parigi guidato da Thierry de Montbrial. Kervasdoué presenterà le sue stime in un libro in pubblicazione a gennaio, ma già ieri ha illustrato alcuni esempi dell’impatto del rallentamento delle nascite. Soprattutto in alcuni Paesi ricchi, il futuro riserva un drastico invecchiamento e il rischio di una rapida contrazione del numero di abitanti. Fra una generazione, l’età media dei giapponesi sarà per esempio di 50 anni. E nel 2040 la popolazione italiana, specie nelle regioni del Nord dove la natalità è più bassa, potrebbe essersi ridotta del 43% (al netto degli effetti dell’immigrazione). Anche una potenza emergente come la Russia è avviata verso un crollo demografico: oggi i russi sono più di 140 milioni, ma fra trent’anni potrebbero essere meno di cento milioni e sorpassati da una nazione in espansione demografica come la Francia.
Sono soprattutto i Paesi in via di sviluppo i protagonisti di questa revisione delle aspettative per l’umanità. Dall’Iran al Marocco, dal Sud dell’India al Brasile, all’Indonesia, le donne hanno iniziato a fare meno figli di quanto l’Onu avesse previsto all’inizio di questo decennio. In mezzo secolo il tasso di fertilità di una donna marocchina è sceso precipitosamente da sette a due figli di media. In Bangladesh è calato da sei a tre figli fra il 1980 e il 2000 e da allora la tendenza è proseguita. Ma è l’Iran il caso più estremo: durante il regime degli ayatollah, il tasso di riproduzione è prima esploso a sette figli per donna nell’84, quindi è crollato a 1,9 figli al censimento del 2006. Perché la popolazione resti invariata, i demografi ritengono sia indispensabile un tasso di 2,1 nascite per donna nel mondo avanzato e di 2,3 nei Paesi in via di sviluppo. In Italia la quota è di appena 1,1, mentre in Cina la politica del figlio unico farà sì che la popolazione sia minore di almeno 300 milioni di persone di come sarebbe stata altrimenti.
In generale, nei Paesi emergenti l’avversione alle famiglie numerose si sta diffondendo in modo fulmineo. È proprio questa una rapidità che sta obbligando gli esperti a correggere le aspettative. Lo stesso declino delle dimensioni della famiglia che in Europa si è dipanato per oltre cento anni, in Asia e in Medio Oriente sta avvenendo in meno di venti. L’abbandono dell’agricoltura preindustriale e l’emergere di una classe media urbana spiegano molto. Contribuisce poi anche il nuovo ruolo delle donne nel mondo del lavoro, specie in Asia. Ma, secondo Kervasdoué, incide anche la diffusione fra le donne di modelli sociali più aperti grazie alla televisione e a Internet, ora che metà dell’umanità ha un accesso online. In dieci anni, la diffusione del web nelle società emergenti è quadruplicata.
Ne risulterà nel mondo un consumo relativamente minore di energia e di altre risorse. Ma anche per i Paesi in via di sviluppo, si presenterà il costo sanitario dell’invecchiamento: solo in Cina, l’aspettativa di vita è esplosa di 38 anni in appena mezzo secolo e ora è pari a quella della Louisiana. L’età media nel mondo salirà da 30 a 38 anni. E qualcuno prima o poi dovrà pagare per il medico di tutti noi che saremo «sopra la media».
Federico Fubini