Giusi Fasano, Corriere della Sera 18/10/2010, 18 ottobre 2010
«DEVI DIRE IN TV CHE IO NON C’ENTRO» GLI SMS DI SABRINA ALLA SUPERTESTE —
La sua spina nel fianco si chiama Mariangela, quella ragazzina un tempo tanto amica che ora la sta demolendo. «Ma perché va dicendo quelle fesserie?» ripete a tutti Sabrina. Fa di più: contraddice l’ex amica nelle sue mille interviste tivù, le fa arrivare messaggi attraverso amici comuni: «Guarda che ti sbagli, quando sei arrivata non ero in strada», «Lo sai benissimo che ti aspettavo sotto la veranda». E le manda una sfilza di messaggini sul cellulare: «Devi andare in televisione a dire che io non c’entro niente». Mariangela resiste. A chi le chiede com’è andata ripete che lei sa dire soltanto la verità e che la ripeterà sempre: il pomeriggio del 26 agosto è arrivata davanti a casa di Sabrina alle 14.40 e Sabrina l’aspettava per strada, molto agitata. «L’ho detto ai magistrati e non mi stancherò mai di ripeterlo». «Stronza» compare sul display del suo cellulare: è Sabrina che non apprezza. E ancora un sms: «Perché stai dicendo bugie?». Un pressing serrato che non serve a niente. Mariangela non arretra di un passo: «Quello ho visto e quello racconto».
I testi dei messaggi finiscono nel fascicolo dell’inchiesta e con quelli anche le parole captate dalle intercettazioni ambientali. Sabrina probabilmente intuisce di essere intercettata, ma non sa trattenersi: commenta quasi sempre le notizie che sente in tivù, soprattutto se riguardano la versione di Mariangela, e lo fa più del solito da quando suo padre inscena il ritrovamento del telefonino di Sarah (il 29 settembre). «Perché ha fatto ritrovare il cellulare? Il giorno prima lo abbiamo toccato tutti quel telefono, ci sono anche le nostre impronte...» sembra abbiano annotato fra le altre cose gli uomini del Ros.
Tutto questo pochi giorni fa, quando Sabrina non era ancora stata accusata da suo padre, Michele Misseri, dell’omicidio di Sarah Scazzi. Tre giorni fa la svolta. Misseri, che fino ad allora aveva giurato di aver fatto tutto da solo, rivela: «Sabrina ha trascinato mia nipote Sarah in garage e mentre lei la teneva io la strangolavo. Quando ha visto cadere Sarah Sabrina è scappata via sconvolta, allora io ho caricato Sarah sulla Marbella, l’ho portata in campagna, l’ho violentata e l’ho buttata in un pozzo».
Tutto quadra, secondo la Procura di Taranto. E nel decreto di fermo per Sabrina, Mariangela diventa la più preziosa testimone dell’accusa, esattamente il contrario di quel che avrebbe voluto Sabrina, cioè usarla per sostenere il suo alibi. Ecco un riassunto del racconto di Mariangela Spagnoletti dalle due deposizioni davanti ai carabinieri di Avetrana e al Comando provinciale dell’Arma di Taranto.
«Quel giorno sono arrivata davanti a casa di Sabrina alle 14.40 circa per andare al mare con lei e Sarah. Nell’auto assieme a me c’era la mia sorellina. Appena giunta davanti all’abitazione di via Deledda ho visto Sabrina in strada ad aspettarmi. Era in uno stato di agitazione che ho trovato molto strano. Mi ha detto che aspettava Sarah, ma che lei non era arrivata e mi ha chiesto se l’avessi vista. Io ho risposto di no e lei è salita sulla mia auto e siamo andate a cercarla. Appena è salita in macchina ha provato a contattarla, non c’è riuscita e mi ha detto "l’hanno presa", "l’hanno presa"». Mariangela ricorda di essere rimasta stupefatta. Di aver pensato «ma perché dice una cosa del genere?».
«La Spagnoletti è una teste genuina, spontanea, molto precisa e non si contraddice mai» dicono gli inquirenti. Precisa al punto da ricordare la posizione delle auto e la presenza o meno dei protagonisti del suo racconto. «Ricordo che al mio arrivo non c’era nessuno, a parte Sabrina».
Le due ragazze partono alla ricerca della cugina di Sabrina. Prima di tutto provano a casa. Mariangela dice di essersi fermata all’angolo della via che incrocia quella dove viveva Sarah, che Sabrina è scesa ed è andata dalla madre di Sarah a chiedere se e quando la ragazza era uscita. Sempre più agitata, Sabrina torna da Mariangela e le due decidono di ripassare da casa Misseri, chissà mai che Sarah nel frattempo sia arrivata... Ci arrivano alle 14.55.
«Al secondo giro ricordo che le auto di Michele Misseri e di sua moglie Cosima erano nella stessa posizione di quand’ero arrivata. Solo che stavolta sulla scena c’era anche Michele. L’ho visto che era accovacciato fra il marciapiede e la porta del garage e stava facendo qualcosa con un oggetto che non ho visto bene cosa fosse, forse ferro, non so». Sabrina parla con suo padre: «Hai visto Sarah?». «È arrivata?». «No». «Se casomai la vedi arrivare dille che la stiamo cercando», «Va bene». E la Ka di Mariangela riparte per un altro giro di ricerca. Di nuovo le due vanno a casa di Sarah, rifanno la strada dei primi due giri e tornano una terza volta davanti a casa Misseri. Sono più o meno le 15.10-15.15.
Altro cambio di protagonisti: stavolta non c’è più Michele fuori dal garage. Ma c’è Cosima (nel frattempo avvisata con un messaggino di Sabrina della scomparsa di Sarah) che sembra pronta a saltare sulla sua Opel Astra. E c’è l’auto di Michele Misseri leggermente spostata in avanti rispetto agli altri due giri. «A quel punto abbiamo deciso di separarci perché io dovevo portare a casa la mia sorellina» racconta Mariangela. «Sabrina è scesa dalla mia macchina e ci siamo dette che io andavo a casa e che loro mi avrebbero raggiunto così saremmo andate a cercare Sarah assieme».
Mariangela riparte verso via Silvio Pellico, dove vive. Ci arriva in pochi minuti, 4-5 al massimo perché le strade sono vuote e di traffico non c’è nemmeno l’ombra. Ma poi le tocca aspettare Cosima e sua figlia Sabrina per una decina di minuti abbondanti. E mentre aspetta si chiede: «Perché ci mettono così tanto». La domanda, vista con il senno del poi, è: che fanno in quei dieci minuti di buco Sabrina e i suoi genitori?
È quello che si chiedono anche gli inquirenti. Una cosa è certa: in quei dieci minuti Sarah era sicuramente già morta e il suo corpo poteva essere soltanto in due posti: o ancora in garage, dov’è stata uccisa, oppure sulla Marbella dov’è stata caricata e portata fino al pozzo. Cercare di capire di più di quei dieci minuti potrebbe cambiare una volta di più le sorti di quest’inchiesta.
Giusi Fasano