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 2010  ottobre 18 Lunedì calendario

LO SHOPPING PIACE «MONOMARCA»

La differenza tra negozio monomarca e multimarca si riassume in un’equazione: il primo sta al secondo come un sogno può stare alla realtà. Una boutade? No. È quello che in tono un po’ provocatorio sostiene Ernesto Gismondi, fondatore nel 1960 insieme a Sergio Mazza del marchio Artemide.

Il monobrand oggi in Italia spopola sia tra i prodotti al top di gamma sia tra quelli alla portata di tutte le tasche. Da Prada a Calzedonia, la parola d’ordine è aumentare i punti monomarca per rafforzare il brand e crescere. Sempre che l’azienda possa permettersi di affrontare un mercato immobiliare che esige buonuscite impegnative e affitti improponibili.

L’immagine dei punti luce

Nel caso dell’illuminazione Gismondi, ingegnere aeronautico di Sanremo - classe 1931 - illustra così la rete di vendita delle lampade firmate dalla sua azienda: «abbiamo 59 negozi momomarca nel mondo, ma allo stesso tempo vendiamo da alcune migliaia di punti vendita. Certo il negozio monomarca rappresenta il top dell’offerta perché garantisce un maggior controllo su competenza e qualità del servizio, proprio per questo ha costi non sostenibili per tutta la filiera di vendita». Un lusso, dunque, anche per chi vende prodotti al top di gamma. «Flos ha otto negozi monomarca - spiega Piero Gandini, presidente di Assoluce e Flos -. Il potenziale di questi punti vendita è alto e quasi sempre ne giustifica l’investimento, ma il successo dipende da fattori non replicabili ovunque, come l’esclusività e la rarità della location. Sono convinto quindi che il numero dei monobrand aumenterà ma non aumenteranno i volumi in rapporto al totale del mercato». Numeri piccoli se paragonati al fatturato complessivo. «Secondo le mie stime -, conclude Gandini -, il fatturato dei monomarca dell’illuminazione arriva a malapena al 5 per cento del totale».

Il pioniere

Il primo monomarca di abbigliamento in Italia è stato Max Mara quaranta anni fa. «Ma la vera esplosione c’è stata negli ultimi dieci anni - rievoca Carlo Pambianco, presidente della società di strategie di impresa specializzata nella moda -. È chiaro che chi persegue una politica di marca deve per forza avere una sua rete di monomarca. Su dove e su quanti negozi ovviamente ogni azienda ha le sue idee. Io però non sono così pessimista sui piccoli punti vendita. Non è detto che il negozio multimarca sparirà ma dovrà adattarsi al nuovo scenario e avere una visione sul futuro. E soprattutto dovrà investire. Questo ovviamente non vale per alcune arterie dello shopping dove il negozietto è già praticamente scomparso». Pambianco ha recentemente analizzato la nuova mappa di Corso Vittorio Emanuele a Milano con risultati lampanti. «Ci sono ormai solo multimarca – evidenzia –. Ma questo è legato oltre che alle strategie delle aziende soprattutto dal costo degli immobili al metro quadrato nei centri cittadini».

Il successo dell’integrazione

Il tema della distribuzione non si esaurisce però alla discussione su canale diretto o indiretto. «La vera novità -, spiega Sandro Castaldo, direttore area marketing Sda Bocconi -, è nei sistemi integrati tra industria e distribuzione. In questi infatti il canale è il prodotto, l’innovazione sta proprio lì. Un esempio? L’accordo tra Costume National e Ovs Industry». Molto impegnati sul fronte del negozio monobrand anche gli operatori di telefonia.

Telefonia monomarca

«La nostra rete di vendita -, spiega Mario Franci, direttore vendite e distribuzione di Vodafone Italia -, conta ben 800 negozi Vodafone One, praticamente un punto vendita ogni 30 mila abitanti. La nostra strategia è di puntare sempre di più sul monobrand per la competenza che riusciamo a garantire in questi negozi e per il valore del servizio che diventa dunque un elemento distintivo». Fortissima anche la rete di vendita marchiata Telecom. «Noi contiamo circa 2000 negozi monobrand -, spiega Mario Ruggiero, responsabile vendite consumer di Telecom Italia -, tra quelli gestiti direttamente e quelli in franchising, ma vendiamo anche attraverso 1200 negozi specializzati multibrand e la grande distribuzione organizzata».

Auto a senso unico

Anche il settore delle auto ha una forte spinta verso il mono. Qui, però, le motivazioni sono altre. «Finora solo chi aveva grandi spazi riusciva a gestire più marchi -, racconta Filippo Pavan Bernacchi, presidente di Federauto -, a causa degli alti standard richiesti dalle case automobilistiche. Dal 2013, però, la libertà dei concessionari sarà ulteriormente ridotta da un regolamento europeo che impedirà la coesistenza di più marchi nello stesso impianto».

Polizze esclusive

Nonostante la liberalizzazione Bersani prevale il monobrand anche tra i distributori di polizze assicurative. «La teoria della legge -, spiega Vittorio Verdone, direttore auto di Ania -, non ha tenuto conto che l’agenzia non è un supermercato, visto che intermedia contratti ad alto contenuto tecnico, che l’agente continua a rappresentare giuridicamente le compagnie, che le infrastrutture necessarie per gestire più marchi sono molto costose e che si possono verificare conflitti di interesse, in virtù dei mandati ricevuti ».

L’arredamento

In controtendenza, invece, il trend dell’arredamento. «Negli ultimi 40 anni sono stati fatti parecchi tentativi di marchio unico -, spiega Rosario Messina, presidente di Federlegno-Arredo -, ma non sono andati a buon fine. Il mobile è un prodotto che viene cambiato dal consumatore un paio di volte nella vita, in più gli ingombri dei prodotti sono tali che i costi di negozi monomarca sarebbero insostenibili. Oggi il mercato offre circa 16 mila punti vendita. Davvero troppi. Questi trattano fino a 40 fornitori. Quando il giusto rapporto, per avere un’offerta omogenea e completa è tra gli otto e i 20 produttori. Equilibrio che si raggiungerà, giocoforza, in futuro, all’indomani della grande selezione strutturale che stiamo vivendo ».