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 2010  ottobre 18 Lunedì calendario

LA FRAGILITÀ DEL SISTEMA CONDIZIONA LA RIFORMA ANNUNCIATA

La scissione nel Pdl e la nascita di Futuro e libertà ha riproposto la questione della fragilità del sistema partitico. A partire dal 1992 l’elevata frammentazione partitica è stata una delle caratteristiche principali della politica italiana. L’altra è stata il bipolarismo.

Rispetto al periodo della prima Repubblica il numero dei partiti è cresciuto sensibilmente. Ma quello che più conta per la governabilità è il fatto che contemporaneamente è diminuita la loro forza relativa. Sono sparite le due grandi forze politiche che avevano caratterizzato il primo sistema partitico del dopoguerra, e cioè Democrazia cristiana e Partito comunista, e al loro posto sono subentrate formazioni con un peso relativo molto più modesto, come il Pds-Ds e Forza Italia. In sintesi, tanti partiti e nessun grande partito. Il fenomeno ha interessato nella stessa misura tutti i livelli di governo: comuni, province, regioni e Stato.

La frammentazione partitica però non è cresciuta in maniera costante. Ci sono state diverse fasi. La prima va dal 1987 al 1994: è la destrutturazione della prima Repubblica, con scissioni, scomparsa di vecchi partiti e nascita di nuovi. Gli elettori sono disorientati e questo aumenta la volatilità elettorale e la dispersione dei voti.

Dopo il 1994 comincia una seconda fase di graduale ricomposizione della rappresentanza. La curva della frammentazione gira verso il basso. Le nuove regole del voto prevalentemente maggioritarie cominciano a mordere ma non hanno il tempo per produrre tutti i loro effetti. Nel 2005 il sistema di voto cambia. Si passa dai collegi uninominali al proporzionale con premio di maggioranza e la frammentazione torna a crescere avvicinandosi al picco del 1994. Le nuove regole elettorali favoriscono la nascita di piccoli partiti o la loro sopravvivenza. Prodi e Berlusconi sfruttano questi incentivi per formare grandi coalizioni "prenditutto". Con questa logica anche i partiti "nani" servono a portare voti utili per la conquista del premio. E così è stato. Pochi voti hanno deciso l’esito.

Tra il 2006 e il 2008 le regole di voto non sono cambiate, ma nascono due nuovi partiti che sulla carta potrebbero diventare i due grandi partiti della seconda Repubblica: Pd e Pdl. Nelle elezioni del 2008 non ci sono più le grandi coalizioni del 2006. Il risultato è il crollo della frammentazione. L’Italia sembra essere diventata come la Germania o la Spagna o la Gran Bretagna: un sistema di pluralismo moderato, con due grandi partiti e un piccolo gruppo di partiti medi. Ma è un’illusione. L’indebolimento del Pd e del Pdl, la nascita di nuove formazioni, il cambiamento di altre sono segnali inequivocabili della persistente fragilità del nostro sistema politico.

Questo è il quadro di cui tener conto quando si parla dell’ennesima riforma elettorale. Un sistema politico così ostinatamente frammentato non è governabile senza meccanismi istituzionali in grado di riequilibrare il rapporto tra rappresentanza e decisione. A livello locale questi meccanismi sono stati l’elezione diretta del capo dell’esecutivo e regole di voto maggioritarie di vario tipo. A livello nazionale non c’è l’elezione diretta del presidente del consiglio, ma a partire dal 1994 ci sono state regole di voto – prima il collegio uninominale e poi il premio di maggioranza – che hanno contenuto gli effetti perversi della frammentazione costringendo i partiti ad allearsi prima del voto. Regole,però, che per diverse ragioni hanno mostrato limiti.

Ma cosa potrebbe succedere se si adottassero sistemi di voto che invece di "imbrigliare" la frammentazione le lasciassero campo libero?