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 2010  ottobre 21 Giovedì calendario

L’ALTRA MINACCIA. EMMA, I GIORNALI E I TIRATORI SCELTI


I custodi del vero giornalismo d’inchiesta (quello che spesso germoglia nelle procure) sono saliti in cattedra e hanno imbracciato la tesi di un presunto attentato ordito dal Giornale contro Emma Marcegaglia. La presidente della Confindustria, ancora scossa dallo scampato pericolo, ha incassato la solidarietà dell’universo mondo, promettendo che «nessun dossier cambierà i suoi giudizi sul governo». A far ripartire l’inesauribile macchinetta del moralismo mediatico stavolta sono state le indagini della procura di Napoli su una presunta «violenza privata» nei confronti di Emma Marcegaglia basate su intercettazioni di telefonate tra Rinaldo Arpisella, portavoce di Marcegaglia, e il vicedirettore del Giornale Nicola Porro che annunciava inchieste scomode sulla presidente e la sua «family».

Arpisella per mestiere deve proteggere e curare da quasi tre lustri l’immagine di Marcegaglia. E per questo cerca di evitare che se ne parli male. Costi quel che costi. Di certo è ingeneroso rappresentarlo come un delicato addetto stampa che avvampa di rossore di fronte all’assalto di spregiudicati cronisti. È una rappresentazione che non gli rende giustizia. Come dimostra una vicenda vissuta da chi scrive e in cui il portavoce di Marcegaglia, sempre al telefono, usava toni e argomenti non diversi da quelli che oggi stigmatizza negli altri. Un Arpisella double-face: in questi giorni tremebondo addetto stampa, un anno fa implacabile tallonatore e censore di cronisti in cerca di notizie.

Ma veniamo ai fatti. È la fine di agosto del 2009 e mi trovo a Bari per seguire l’inchiesta sulla cosiddetta Sanitopoli pugliese. In un articolo di due settimane prima, avevo approfondito i rapporti con la politica di uno dei personaggi chiave dell’indagine, un noto imprenditore nel settore dei rifiuti di Altamura (condannato nel giugno scorso anche per abusivismo). Decido di continuare a seguire questo filone. Per farlo non aspetto dossier dei servizi segreti o di apparati di polizia deviati, ma busso in procura (come i custodi del vero giornalismo d’inchiesta), raccolgo informazioni, numeri di telefono e notizie d’archivio da avvocati e colleghi dei giornali locali, incontro ambientalisti e un gruppo di esponenti dell’Italia dei valori guidati dal deputato Pierfelice Zazzera.

Per avere maggiori ragguagli, in procura mi consigliano di rivolgermi ai carabinieri del Nucleo tutela ambientale. Lo faccio. Durante questa lunga ricerca di notizie e riscontri vengo a sapere che l’imprenditore sotto inchiesta ha vinto diverse gare d’appalto regionali per lo smaltimento dei rifiuti in ati (associazione temporanea d’imprese) con un alleato di peso: la Cogeam, controllata al 51 per cento dal gruppo Marcegaglia, mentre il restante 48 appartiene al presidente del consorzio, un personaggio alle prese con diversi guai giudiziari. Ovviamente se indago sull’imprenditore non posso ignorare i soci di maggioranza del business.

La sera del 25 agosto 2009 chiamo i vertici della Cogeam per concedere il diritto di replica e domandare se non siano imbarazzati dai problemi con la giustizia di soci e azionisti. Registro per non fraintendere le risposte e togliermi dai guai in caso di querela (dopo 10 anni di cronaca giudiziaria so quanto sia difficile difendersi davanti a un tribunale, quando l’intervistato nega di averti parlato o di avere detto certe cose. E purtroppo succede).

La mattina dopo, mercoledì 26 agosto, sto terminando di scrivere il pezzo in albergo quando squilla il mio telefonino. Dall’altra parte c’è Arpisella. Non so chi sia. Dichiara di parlare a nome del gruppo Marcegaglia (nell’ottobre 2009 diventerà ufficialmente il portavoce di Emma in Confindustria). Il tono è altezzoso sin dalle prime battute, ma non mi turba: io voglio confrontare i risultati della mia inchiesta, verificare se ci siano degli errori, concedere il diritto di replica rispettando le regole del buon giornalismo. Per questo, come la sera precedente, decido di registrare quello che dice. Ma soprattutto quello che dico io. Nessuno potrà negare la mia buona fede.

Purtroppo la telefonata non va come mi aspetto. «Sei un collaboratore di Panorama?» mi chiede. Per la verità sono stato assunto nel 1998 e firmo sulla testata mondadoriana dal 1996. Quella domanda forse nasconde un retropensiero: non devi contare molto se non sai che stiamo preparando un’intervista-copertina con Marcegaglia proprio sul giornale per cui scrivi.

Quindi Arpisella rende esplicito il senso del quesito e mi informa della trattativa in corso, poi diventa imperativo: «Lascia fuori Marcegaglia da questa cosa, non c’entra un cacchio…». Secondo lui, insomma, posso citare solo la Cogeam, senza dire però quale sia la composizione societaria. Provo ad argomentare, spiego che nel testo ho dato spazio alla versione degli uomini del gruppo. Non serve a nulla. Insiste e ribadisce il concetto: «Non coinvolgere Marcegaglia in questa cosa, anche perché questo creerebbe grossi problemi a Emma». In verità non è la mia principale preoccupazione, non sono l’addetto stampa della signora. Ma a questo punto Arpisella introduce nel confronto dialettico tra giornalisti una minaccia non convenzionale: «Tu sai quali sono i rapporti di Confindustria con l’attuale governo, scusami se sono esplicito, ma è inutile girare attorno a un dito».

Più chiaro di così… Capisco che deve avere confuso la mia stanza d’albergo con l’ufficio stampa della presidenza del Consiglio. Però trovo sproporzionato il ruolo che prova ad affibbiarmi: sabotatore dei buoni rapporti fra esecutivo e imprenditori. Mentre ancora rimugino, mi annuncia che a questo punto farà saltare l’intervista prevista per il numero successivo. «Io di queste cose non mi occupo» provo a obiettare. Arpisella sembra inalberarsi, mi contesta anche di avere registrato le parole dei vertici di Cogeam: «Non amo la linea di Repubblica o dell’Espresso» avverte. Ribatto che «non so se sia la linea di questi giornali fare un’inchiesta e registrare alcune interviste». Non demorde: «Mettere dentro il nome di Marcegaglia vuol dire solo buttar fango e delegittimare». Risuona, ante litteram, il ritornello mediatico tanto caro alla polemica di Repubblica: «macchina del fango», «delegittimazione». Ma per Arpisella i campioni di questo mestiere non sono Il Giornale o Panorama, bensì proprio i media del gruppo Cir che oggi straparlano di «killeraggio» nei confronti di Gianfranco Fini e di Marcegaglia.

Per fortuna la telefonata termina: «Ora dico al tuo direttore che l’intervista salta, pace e amen». «Pace e amen» penso anch’io, e lo saluto. Chiamo in redazione e avverto della spiacevole conversazione. Mi dicono di non preoccuparmi. Finisco di scrivere il pezzo e lo invio. Nel pomeriggio mi ricontattano da Panorama e, letto l’articolo, mi suggeriscono d’insistere per raccogliere una dichiarazione ufficiale della stessa Marcegaglia o del suo portavoce.

Obbedisco e richiamo Arpisella. Sono davanti alla procura di Bari e tira un vento fastidioso. Lui respinge subito l’offerta e ricomincia la litania: «Lascia fuori il nome di Marcegaglia». Quindi afferma: «Ti spiego alcune cose che per telefono non vanno nemmeno dette: guarda che si incazzano anche in alto i tuoi su questa cosa». Non capisco cosa intenda per «alto», visto che la mia direzione è informata: vuol dire i vertici della Mondadori? O fa riferimento alla proprietà, o magari a Silvio Berlusconi, che non ho mai visto né sentito in vita mia? Di chi parla Arpisella? Non ne posso più: faccio solo il mio mestiere, le sue minacce iniziano a innervosirmi. Ripeto, ingarbugliandomi un po’, che ho concesso a tutti il diritto di replica. Capisco, però, che non sono in discussione le regole della corretta informazione quando Arpisella sfodera quella che considera l’arma finale: «Perché sennò, se incominciamo a rompere i coglioni noi al governo… cioè, capisci… cioè, come Confindustria».

Ma che c’entra? Sto scrivendo un pezzo sulla raccolta dei rifiuti in Puglia e Arpisella minaccia un autunno caldo per l’esecutivo. Mi sembra un marziano. «Hai capito il senso?» mi chiede. «Eccome se l’ho capito» replico. Chiedo ad Arpisella di ripetere il suo nome e di mettere così la firma su quella registrazione, quindi attacco il telefonino. Alla fine l’articolo esce, come previsto. Marcegaglia lo legge e non rinuncia all’idea dell’intervista. Arpisella, forse, è stato più realista della sua principale. Per noi di Panorama l’incidente si chiude lì. Nei giorni successivi l’imprenditore indagato e un suo ex dipendente annunciano querela. Per questo metto da parte i file audio di quella inchiesta (anche questo è un dossier?) e mi dimentico la storia.

Sino a quando, lo scorso 7 ottobre, leggo con sorpresa le dichiarazioni di Arpisella ai pm di Napoli: quelle di un uomo angustiato per i presunti dossier anti Marcegaglia. Riascolto la sua voce sul mio computer. La violenza privata, se c’è, vale solo per Il Giornale?