Franco Giubilei, La Stampa 16/10/2010, 16 ottobre 2010
A TAVOLA CORBEZZOLE E AZZERUOLE
(Simbolo di un mondo perduto, ritornano i frutti “poveri”: molti hanno sapori straordinari) -
Chi se le ricorda le pere volpine, le corbezzole, oppure le giuggiole, che se lasciate appassire diventano tanto dolci da ricavarne il brodo proverbiale? Alzi la mano, poi, chi sa cosa sono le azzeruole, cioè le «mele reali» dei romagnoli col loro gusto leggermente acidulo.
I contadini, che le hanno coltivate nei loro campi fino agli anni del dopoguerra, da un certo momento in poi non hanno voluto più saperne dei parenti poveri dei frutteti con la «effe» maiuscola: un po’ perché il mercato ortofrutticolo che si è sviluppato su scala industriale non ha concesso spazio ai piccoli numeri di questi prodotti, ma soprattutto perché corniole, nespole, mele rosa e prugnoli rievocavano una realtà di miseria troppo dura e recente per rimpiangerli.
Così nel periodo del boom economico è scattato un meccanismo di rimozione che ha rischiato di seppellirli in qualche museo della memoria contadina, finché a Casola Valsenio, paese di 3 mila abitanti sui colli ravennati, vent’anni fa hanno pensato di inventare la «Festa dei frutti dimenticati» coinvolgendo gli agricoltori della zona. Oggi e domani, bancarelle con frutti freschi e lavorati in confetture, stand gastronomici con specialità autunnali, ristoranti con menu dedicati, mostre, incontri e convegni metteranno al centro prodotti che parevano destinati all’estinzione. «Oggi invece – spiega Beppe Sangiorgi, storico delle tradizioni popolari e ideatore della manifestazione - l’interesse attorno a questi frutti è tornato e i visitatori vengono a Casola Valsenio anche da altre regioni, e oltre a visitare la mostra-mercato vanno nelle aziende agricole a vedere le piante nel loro ambiente, dove sono state rimesse a dimora».
Sono parecchie decine le varietà di frutti dimenticati – solo le mele sono una ventina, cui si aggiungono altrettante specie - tutti prodotti che una volta i contadini raccoglievano su piante solitarie che crescevano vicino a case coloniche o isolate nei campi e nei boschi. I frutti erano destinati al consumo domestico, tutt’al più ai mercati locali.
«Non avendo impianti di refrigerazione e non potendo conservare la frutta, la gente manteneva moltissime varietà che sfruttava a seconda del periodo di maturazione – aggiunge Sangiorgi – Poi questi frutti sono stati abbandonati per una forma di rigetto causata dal fatto che ricordavano i periodi di miseria». Ora gli agricoltori sono tornati a piantare il giuggiolo, un albero spinoso che ha bisogno di appoggiarsi a un sostegno e dunque cresce da sempre a fianco delle case coloniche romagnole, e a coltivare la mela rosa, che sabato sarà messa a dimora nel parco del paese durante l’inaugurazione della Festa.
E’ stato Tonino Guerra, nel 1989, a creare il primo orto dei frutti dimenticati a Pennabilli, con un centinaio di queste piante. A Casola Valsenio, dove c’è anche un bel giardino di piante officinali, hanno seguito l’esempio e lanciato la riscoperta dei frutti dimenticati: domenica, fra mele gelate, prugnoli e pere cotogne, ci sarà anche un incontro pubblico fra l’attore Ivano Marescotti e lo scrittore Cristiano Cavina sui «Mangiari poveri di Romagna».