MARIA PIA FUSCO, la Repubblica 17/10/2010, 17 ottobre 2010
SABRINA FERILLI
«Se a vent´anni mio padre non mi avesse buttato fuori di casa e non mi avesse preso un monolocale a Roma, la mia vita sarebbe stata diversa. Perché lui capiva che dei tre figli ero quella più reticente ad andar via e con più problemi a staccarmi dalla famiglia». Ed è così che Sabrina Ferilli lasciò la vita tranquilla a Fiano Romano - dov´è nata nel 1964 - per affrontare la grande città e conquistare il futuro. A cominciare «dalla Lucente, una ditta di pulizie dove ho lavorato part-time, la mattina rispondevo al telefono. Ci sono rimasta tre anni».
Il futuro era il cinema, «ma non sono di quelle che "fin da bambina" sognano di fare l´attrice. Ci ho pensato tardi, già adolescente, vedendo i film in bianco e nero, a Fiano non c´era molta scelta. Qualche volta mio padre mi portava a Roma a vedere le marionette al Pincio, ma il cinema era l´attrattiva principale. Ero pazza di Stanlio e Ollio, di Totò, Anna Magnani, Sophia Loren. Mi piacevano anche gli stranieri, ma i miei miti erano gli italiani».
La prima delusione arriva con il tentativo fallito di entrare al Centro sperimentale. Ma Sabrina Ferilli non è una che si arrende facilmente e aggira l´ostacolo, andando il pomeriggio all´Accademia d´arte drammatica a lezione di recitazione con Claudia Giannotti. Con il suo fisico prorompente, da maggiorata di una volta, in netto contrasto con la moda imperante della taglia trentotto, non le è difficile farsi notare, soprattutto dal cinema erotico un po´ volgare che si faceva negli anni Ottanta. Ma lei, figlia di un dirigente del Partito comunista italiano che le ha inculcato, insieme alla passione per la politica, valori come l´onestà e l´integrità, rifiuta. Anche perché del suo fisico non era particolarmente fiera, soprattutto durante l´adolescenza a Fiano. «Non avevo i fidanzatini come le altre ragazzine. Il primo fidanzato l´ho avuto passati i vent´anni. Perché ero fuori misura, fuori luogo, avevo le tette, ero abbondante. E ho sempre avuto una testa molto riflessiva, non parlavo da teenager. Più che ai miei compagni di liceo, piacevo ai loro zii».
In realtà, dice, «neanche adesso penso di essere bella. Non mi sono mai piaciuta, non perché non stessi bene con il mio fisico, me lo trovavo addosso, lo constatavo e basta, non lo consideravo bellezza. Forse ho cominciato a crederci quando ho fatto il calendario, ha avuto il significato di una celebrazione, un riconoscimento ufficiale. Ma continuo a pensare che non è mai un bel culo a far dire che una donna è bella. Soprattutto nel mio mestiere il consenso passa prima attraverso l´accettazione da parte del pubblico, attraverso il gradimento».
Il calendario per il Duemila del mensile Max - un milione di copie vendute - come lo spogliarello nel 2001 per i tifosi giallorossi sono alcune delle tante scelte contrastanti che rendono particolare la carriera di Sabrina Ferilli. Lei non rinnega nulla, neanche quel «beato chi se lo fa» dell´ultima pubblicità in cui è protagonista, che per qualcuno è irritante. «Il finale di uno spot deve rimanere in testa, deve essere d´effetto: lo sono quelli di Gigi Proietti, di Claudio Bisio, di Aldo Giovanni e Giacomo». E non importa se Luciana Littizzetto ne ha fatto una perfida, esilarante imitazione, «perché ho un´enorme stima per lei. E poi sono un personaggio nazionalpopolare, mi fa piacere anche la presa in giro. Non sono permalosa, anzi sono contenta quando la Reggiani dice che con le mie imitazioni si è comprata casa».
Nazionalpopolare e perfetta, così si definisce la Ferilli. Perfetta? «Sono talmente perfetta che invidio chi commette peccati, il mio peccato è la perfezione. Non ho mai speculato su niente, mi sono sempre messa a disposizione di quello che ho pensato fosse giusto, lavoro con grande passione e determinazione». Però sfuma: «Non è che non ho difetti. Cerco di non sbagliare e per non fare danni mi sono limitata, non ho fatto un sacco di cose: è nella perfezione che sono imperfetta».
Perfetti forse sono stati gli inizi della carriera, cominciata con prudenza, facendosi notare in piccoli ruoli come la servetta de Il volpone di Maurizio Ponzi o la sfacciata Zaira in parrucca biondo platino di Americano rosso di Alessandro D´Alatri, fino all´ingresso nel miglior cinema d´autore con Diario di un vizio di Marco Ferreri: è la cameriera Luigia, uno dei ritratti più interessanti e ricchi di contraddizioni dell´universo femminile del regista, esuberante, spudorata, generosa, amorale.
Poi l´incontro con Paolo Virzì, che le ha offerto personaggi intensi come Mirella in La bella vita, divisa tra l´affetto per il marito operaio e l´infatuazione per un vanesio conduttore di tv locale; Marisa, la burina arricchita che vive un malinconico matrimonio in Ferie d´agosto, o la squinternata manager del call center in Tutta la vita davanti.
Sarà per i guizzi dell´imperfezione che, tra un film e l´altro, c´è un festival di Sanremo (1996) presentato con Pippo Baudo - «mi è rimasta la memoria di un manicomio, il meccanismo più folle che abbia mai conosciuto, l´esperienza che mi ha fatto sbarellare più di ogni altra» - e una presenza instancabile in serie e film televisivi, che la impegna tuttora. L´ultimo, Caldo criminale, è andato in onda a fine settembre su Canale 5 e ha avuto l´audience più alta della prima serata: un thriller di Eros Puglielli in cui interpreta una disegnatrice di fiabe. Mentre ha appena finito le riprese della seconda serie di Anna e i cinque, con la regia di Franco Amurri.
«Tutte le scelte che faccio sono dettate dalla passione. Tante cose che ho fatto per la tv non sono inferiori al cinema. Certo ho fatto anche cose meno belle, forse non avrei dovuto lavorare nei seriali, ho avuto la batosta di Due imbroglioni e mezzo con Claudio Bisio che non è andato bene. Ma pensare di gestire una carriera lunga come la mia, appoggiandosi solo sul cinema e su quello che ritieni eccezionale, credo sia impossibile. Io ho un carattere prorompente, mi piace fare, stare sempre in opera, anche rischiando. Nella mia vita non ho mai fatto niente per stare tranquilla. Ho fatto cinema d´autore e Sanremo, la commedia musicale e la tv, la prosa e i film di Natale: non credo che tra le mie coetanee sia così usuale».
Riconosce che «la pluralità delle scelte non aiuta a essere messa a fuoco dal pubblico, ma io credo che questo sia un mestiere popolare. Non deve esserci una selezione, tutti gli argomenti sono trattabili, anche i più scabrosi. Non è un lavoro d´élite, ma di intrattenimento, di forza evocativa. Certo, ci sono personaggi che mi sono più cari, ma sono quella che sono per i film di Virzì, di Ferreri, dei Taviani, ma anche e per fortuna per il lavoro con i fratelli Frazzi, Capitani, Pozzessere, Stefano Reali».
Se sul piano professionale la Ferilli è riuscita «almeno nell´ottanta per cento di quello che mi ero prefissata, nella vita sentimentale è stata tutta una sottrazione. Sono state mie scelte, non piango per aver avuto sfiga, ma ho subìto diverse sconfitte, un matrimonio e un divorzio che per fortuna, non essendoci figli, è stato veloce».
Dal 2005, dopo il divorzio dall´imprenditore Andrea Perone, la Ferilli vive con Flavio Cattaneo. «Ho sempre cercato la stabilità, vengo da una famiglia che mi ha inculcato questa idea. Direi che sono nata stabile, anche quando la vita mi ha dato le spallate ho cercato di restare ferma. E finalmente sono stata fortunata. Sto con un uomo intelligente, poco più grande di me. Flavio è un ragazzo molto posato, bravo nel suo mestiere e questo per me è importante: non potrei stare con una persona che non vive il lavoro con la mia stessa serietà e determinazione. Amiamo le stesse cose, ci piace commentare la lettura dei giornali, discutere problemi politici: è il compagno di vita che non avevo mai avuto, un´intesa che va oltre l´amore».
Ci sono almeno due argomenti che in un incontro con la Ferilli è impossibile trascurare: la Roma e la politica. Quando ne parla, il romanesco si accende e si colora. «Sono stata per la prima volta allo stadio quindici anni fa, mi ha portato il dottor Garinei con Massimo Ghini e Rodolfo Laganà. Me so´ innamorata e la passione è immutata. Certo, sono tempi neri, ma Totti c´è e Ranieri ha detto che dobbiamo stare tranquilli. Purtroppo a Roma "tranquillo" si usa anche con altri significati poco rassicuranti».
Malgrado bisticci e disappunti, come quello con la Belillo a proposito della fecondazione assistita - «Diverbio composto? Quella si è protetta con l´immunità parlamentare!» - la passione è immutata anche per la politica. «Io sono sempre del Pd, anche in questo momentaccio. Che dire? Che c´hanno troppe idee, bisogna averne di meno, essere più forti, più concentrati, deve parlare meno gente e basta con tutte ‘ste correnti! Il segretario è Bersani, è lui che deve decidere chi, come, quando e perché. Penso che mai come in questo momento c´è bisogno non di allargare, ma di tornare all´attaccamento territoriale, ai progetti, alla politica vera, agli ideali forti. C´è da stringere il raggio, non c´è da diventare più rosa, dobbiamo diventa´ più rossi».