Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  ottobre 17 Domenica calendario

LA RICOMPARSA DI MAJORANA

Quando sparì, nel marzo del 1938, dalla nave che da Palermo doveva condurlo a Napoli, Ettore Majorana era un giovanotto molto magro di media altezza, bruno, il naso forte, la fronte spaziosa. «Aveva», racconterà Edoardo Amaldi, «l´aspetto di un saraceno». Apparteneva a una illustre famiglia siciliana, i Majorana-Calatabiano, aveva poco più di trent´anni, si era laureato in fisica con una tesi sulla meccanica dei nuclei radioattivi e faceva parte del gruppo ristretto che lavorava a Roma con Enrico Fermi nell´istituto di via Panisperna. Un anno prima, nel 1937, era stato nominato professore di fisica teorica a Napoli, legandosi d´amicizia soltanto con Antonio Carrelli, professore di fisica sperimentale nella stessa università. Viveva molto riservato e sembrava malato. Il 25 marzo si imbarcò su una nave della Tirrenia per andare a salutare la famiglia a Palermo, nel viaggio di ritorno sparì. Qualcuno affermò di averlo visto allo sbarco, a Napoli. All´epoca, i quotidiani non usavano dare grande spazio ai fatti di cronaca e la vicenda, dopo pochi giorni, venne dimenticata anche se del caso pare si fosse interessato lo stesso Mussolini.

Il Duce mise a disposizione una ricompensa per chi ne avesse dato notizia, ma nessuno rispose. Si disse che, forse, il giovane fisico si era ucciso, buttandosi in mare, ma il suo cadavere non venne mai ritrovato. Pare che avesse lasciato una lettera alla madre chiedendole di non vestirsi di nero. E la madre, infatti, anche dopo la sua scomparsa, rifiutò sempre di prendere il lutto. Solo Antonio Carrelli, suo collega a Napoli, ne ricevette notizia con una lettera nella quale Majorana gli comunicava di aver preso «una decisione che era ormai inevitabile. Non vi è in essa», proseguiva Majorana, «un solo granello di egoismo, ma mi rendo conto delle noie che la mia improvvisa scomparsa potrà procurare a te e agli studenti. Anche per questo ti prego di perdonarmi». Pare comunque che prima di sparire Majorana avesse ritirato dal suo conto una notevole somma di danaro e avesse con sé il suo passaporto. Da allora molte ipotesi sono state fatte sulla sua scomparsa, nessuna è apparsa fino in fondo convincente.
Molti anni dopo Bruno Pontecorvo, che all´epoca era stato il più giovane dei "ragazzi di via Panisperna", mi raccontava che Majorana era considerato tra loro, senza incertezze, un genio. «Nella scherzosa gerarchia religiosa del nostro istituto», mi spiegava, «Enrico Fermi veniva definito il Papa e Majorana portava il titolo di Grande Inquisitore. Era l´unico che parlava con Fermi su un piano di assoluta parità e Fermi lo considerava il più grande fisico teorico del tempo, lo ammirava e alle volte sembrava persino intimidito davanti a lui». E come spiegava allora la sua sparizione? Non se la spiegava, o meglio si chiedeva se Majorana, pur non presente il 22 ottobre 1934 nel momento dell´esperimento decisivo realizzato da Fermi nella fontana dell´Istituto di via Panisperna, non ne avesse tuttavia visto o intuito qualcosa che lo stesso Fermi non era ancora riuscito a vedere. «Era la prima reazione a catena e noi non l´avevamo riconosciuta», mi raccontava Pontecorvo, «ma forse Majorana aveva capito prima di noi, prima dello stesso Fermi, la portata del fenomeno. Forse sentì lo sgomento per il meccanismo che avevamo messo in moto e preferì sparire pur di non dare seguito a quella ricerche».
Forse Pontecorvo, il fisico che nel 1953 abbandonerà l´Inghilterra per andare a vivere e lavorare in Urss, non mi ha raccontato tutta la verità. È possibile invece che anche lui all´epoca abbia sospettato che Majorana fosse fuggito in Germania, come sembra emergere oggi da più recenti documenti e ricerche. Certo è che Majorana nel 1933 si era già trasferito a Lipsia per frequentare l´Istituto di fisica di Heisenberg, uno dei massimi fisici tedeschi già impegnato nella ricerca dell´energia atomica. E da lì, alla promulgazione delle prime leggi razziali, aveva mandato alla madre alcune lettere nelle quali manifestava comprensione o simpatia per quelle misure. «Il numero di coloro che troveranno posto nell´amministrazione pubblica e in molte private in seguito all´espulsione degli ebrei è rilevantissimo», scriveva, «e questo spiega la popolarità della lotta antisemita. Negli ambienti universitari l´epurazione sarà completa entro il mese di ottobre. In realtà non solo gli ebrei ma anche i comunisti e in genere gli avversari del regime vengono in gran parte eliminati dalla vita sociale[...]. Nel complesso l´operazione del governo risponde ad una necessità storica: far posto alla nuova generazione che rischia di essere soffocata dalla stasi economica».
Sulla sparizione di Majorana, in Italia scese rapidamente il silenzio. Tanto più comprensibile, dunque, se il giovane scienziato aveva scelto davvero di trasferirsi in Germania e di mettersi a disposizione di Heinsenberg e del gruppo di fisici impegnati anch´essi nella ricerca dell´arma atomica, una gara nella quale, fortunatamente, la Germania sarà sconfitta.