FEDERICO RAMPINI, la Repubblica 18/10/2010, 18 ottobre 2010
GUERRA DELLE VALUTE, ASSEDIO ALLA CINA MA L´EUROPA DISERTA IL SUMMIT DI SHANGHAI - SAN
francisco - Proprio quando la sua banca centrale ospita a Shanghai un summit sulla "guerra delle monete", il governo cinese respinge seccamente le accuse americane di concorrenza sleale. Il nuovo focolaio di conflitto è l´inchiesta sui sussidi di Pechino alla Green Economy, aperta la settimana scorsa dal Dipartimento al Commercio americano. Quell´indagine punta ad appurare se sia vero - come sostengono da tempo i sindacati americani - che la Cina bara per vendere al mondo intero le sue pale eoliche, pannelli solari e auto elettriche, perché tutti questi prodotti "verdi" godono di abbondanti aiuti di Stato. L´inchiesta di Washington può essere propedeutica a un ricorso presso il Wto, l´organizzazione del commercio mondiale, con la richiesta di sanzioni contro il made in China. «Washington non vincerà questa guerra commerciale», ha detto il vicepresidente della commissione Sviluppo Zhang Guobao. Con insolita durezza, l´alto esponente governativo ha aggiunto un´allusione sferzante alle imminenti elezioni legislative Usa: «Gli americana vogliono un commercio equo? Vogliono trasparenza? No, sono a caccia di voti». I toni sembrano indicare che un´armistizio è ancora lontano, nella guerra delle monete fra Stati Uniti e Cina, che agita i mercati finanziari mondiali e destabilizza molte altre parità di cambio.
L´artiglieria pesante in questo campo è quella che si appresta a utilizzare la Federal Reserve, la banca centrale americana.
Venerdì il suo presidente Ben Bernanke ha confermato che è pronto a usare "armi non convenzionali" per rilanciare la crescita. E´ ormai quasi certo che subito dopo le elezioni di mid-term (2 novembre) la Fed si lancerà in sostanziosi acquisti di titoli del Tesoro a lunga scadenza, un´operazione che viene compiuta stampando moneta, serve a far calare i tassi e aumenta la liquidità. Al tempo stesso, batter moneta è una ricetta sicura per continuare a indebolire il dollaro: con la speranza che almeno questo aiuti le esportazioni made in Usa e che la crescita riprenda grazie alle vendite all´estero. La determinazione della Fed a spingere il dollaro sempre più giù è confermata dalle anticipazioni del New York Times sull´ampiezza dei suoi acquisti di titoli. «Con i tassi d´interesse già storicamente bassi - si legge in un editoriale del quotidiano - ogni intervento significativo dovrà avere almeno le stesse dimensioni di quel che la Fed fece durante la fase più grave della recessione, quando acquistò 1.700 miliardi di dollari di titoli del debito pubblico».
Dunque l´America spingerà la politica del dollaro debole senza mezze misure. Ma per sanare i macro-squilibri dell´economia globale questo non basta. La visione americana, condivisa dal Fondo monetario internazionale, è che tutti i grandi devono fare la loro parte: chi viveva al di sopra dei propri mezzi deve importare meno; chi invece ha accumulato attivi con l´estero deve consumare di più e trascinare le economie degli altri. In questo aggiustamento un tassello è la rivalutazione del renminbi (yuan): se la moneta di Pechino si rafforza, le famiglie cinesi potranno importare più prodotti occidentali. E´ questo lo sfondo che giustifica l´attenzione attorno al summit dei banchieri centrali riuniti oggi a Shanghai. Il vertice è organizzato congiuntamente dal Fmi e dalla banca centrale cinese, lo conducono il governatore Zhou Xiaochuan e il direttore generale del Fondo Dominique Strauss- Kahn. Ma la rappresentanza degli altri è squilibrata: ci sono tutti gli asiatici al massimo livello, compreso il governatore della banca centrale del Giappone sempre più critico verso i cinesi, ci sono tanti banchieri centrali dei paesi emergenti, c´è uno dei massimi esponenti della Fed, ma la Bce non ha mandato nessun rappresentante che abbia un potere operativo. Il basso profilo europeo fa infuriare gli americani. «Molti paesi soffrono perché il renminbi è troppo debole - accusa il New York Times - ma pochi fanno sentire la loro voce». La frecciata è diretta proprio all´Eurozona, che l´Amministrazione Obama vorrebbe coinvolgere in un vasto fronte di nazioni mobilitate per far pressione sulla Cina e ottenere una rivalutazione del renminbi. L´appuntamento di oggi a Shanghai cade in mezzo a due altri summit: l´assemblea generale del Fmi la settimana scorsa a Washington, che fu un fiasco totale sull´instabilità delle monete, e il prossimo G-20 di Seul l´11 novembre, sul quale gli americani ripongono molte speranze.
Washington ha un´arma di pressione piuttosto efficace: la minaccia di una "monetizzazione" del suo debito estero. Le ultime stime del Fmi indicano che il debito pubblico degli Stati Uniti salirà del 32% nei prossimi 5 anni fino a raggiungere un livello italiano (ma in proporzione ad un´economia ben più grossa): il 122% del Pil.
Questo debito è in buona parte detenuto da investitori esteri come le banche centrali asiatiche: che incasserebbero pesanti perdite in conto capitale se la caduta del dollaro diventasse una débacle incontrollata. Perciò il segretario al Tesoro Usa, Tim Geithner, ancora spera di coinvolgere i cinesi in una sorta di "accordo del Plaza", come quello che nel 1985 a New York decise in modo concertato il rafforzamento dello yen giapponese. Come segno di buona volontà Geithner ha rinviato il rapporto ufficiale del Tesoro Usa che deve stabilire se Pechino "manipola" il cambio.
Uomo del dialogo e buon conoscitore dell´Asia, Geithner è convinto di cogliere anche dall´altra parte dei cenni positivi: «Dal 2 settembre - osserva - la rivalutazione del renminbi è stata dell´1% mensile, se dovesse continuare a questo ritmo aiuterebbe a correggere il valore troppo basso della moneta». E´ stato interpretato positivamente anche il fatto che Pechino ha concesso agli investitori esteri di acquistare i buoni del Tesoro cinese, e alle imprese straniere di emettere obbligazioni in renminbi: tutti passi graduali verso una vera convertibilità, che renderebbe la moneta cinese più sensibile alle pressioni del mercato.
L´alternativa è che continui quella guerra delle monete di cui fanno le spese molti altri: non solo l´Eurozona ma anche tanti paesi emergenti dove l´afflusso di capitali speculativi dal resto del mondo sta creando una nuova bolla di dimensioni preoccupanti.