Giampiero Mughini, Libero 17/10/2010, 17 ottobre 2010
LA STORIA DI UN RETTANGOLINO
Provate a dare a Enrico Sturani un paio di centinaia di cartoline illustrate ciascuna da un autore di rilievo e lui vi solleverà il mondo, nel senso che scandirà decennio dopo decennio la storia dell’arte grafica e visiva occidentale degli ultimi 150 anni. Anzi lo ha già sollevato il mondo, sotto forma di questo volumone tanto minaccioso (pesa 1750 grammi) quanto accattivante appena uscito in libreria e che ha per titolo Cartoline (Barbieri editore, pagine 418, euro 37,00). Il primo di ben tre tomi che il nostro eroe dedicherà all’avventura affascinante della cartolina, di questo rettangolino di cartone nato nel 1869 per fare pagare un’affrancatura minore rispetto alla lettera chiusa, e che è allo stesso tempo un vettore di comunicazione, un condensato d’arte grafica, un cimelio dei suoi tempi e un feticcio da collezione.
Nato a Torino nel 1940, Enrico Sturani è figlio di Mario Sturani, negli anni Trenta creatore fra i più prestigiose delle leggendarie ceramiche Lenci.
Laureato in filosofia, Sturani junior si autodefinisce “un cartolinaro”. In fatto di cartoline la sua è più che una passione, è una bulimia irrefrenanabile. Fin da ragazzo s’è messo a braccarle, a rovistare dappertutto alla cerca del pezzo raro, a scovare autori e firme che erano stati dimenticati, a ramassare un materiale enorme. L’ultima volta che è stato a Londra, ne è tornato con ben 150 di quelle che lui chiama “Tart-Card”, e sono le cartoline arredate da immagini di esuberanti ragazze non eccessivamente vestite e di un numero di telefono che le prostitute inglesi appiccano entro alle cabine telefoniche, e ce n’è di bellissime, se capite il tipo di bellezza che intendo.
Di cartoline nei cassetti e negli armadi della casa romana di Sturani junior ce n’è attorno alle 150mila, ben poca cosa se raffrontate alle sette tonnellate di cartoline di proprietà di un famoso collezionista del passato. E difatti Sturani non si reputa un collezionista ma innanzitutto uno studioso. Solo che come tutti gli studiosi del moderno, i “pezzi” su cui costruire le sue accuratissime filologie non è che li va a trovare in biblioteca o in qualche sede accademica. Deve trovarli per mezzo di una caccia incessante e spasmodica. E deve trovarne non qualche centinaia, come ho suggerito all’inizio di questo articolo. Deve trovarne a decine e decine di migliaia. Sempre di più, sempre di più belle. Ché altrimenti non vi stareste gustando l’oceano di immagini di cui trabocca questo libro. Perché quello delle cartoline è un pozzo senza fine. Alzi la mano un pittore o un illustratore italiano o europeo di questi ultimi 150 anni che non ne abbia disegnato una. Per dire dell’Italia ci hanno provato tutti. Da Giorgio De Chirico ad Antonio Rubino, da Alberto Martini a Sergio Tofano, da Marcello Dudovich ai futuristi di ogni sorta, da Luigi Veronesi ad Alighiero Boetti, da Balla ai fratelli Corrado e Ottorino Mancioli, che negli anni Trenta furono i deliziosi aedi del mondo dello sport. Quanto agli stranieri, nel torno di anni che vanno dall’ultimo Ottocento all’art Nouveau allo scoppio delle avanguardie degli anni Venti, anche lì c’è il fior fiore di pittori e illustratori di vaglia: dal grandissimo Raphael Kirchner al cecoslovacco Alfons Mucha, dallo stato maggiore della Secessione viennese del 1905 al belga Gisbert Combaz, dal maestro russo Ivan Bilibin a Oskar Schlemmer e altri campioni del Bauhaus. Ma anche Salvador Dalí e Andy Warhol, per dire di due che in fatto di creatività non si negarono mai nulla. Leccornie su leccornie. Ogni volta da stropicciarsi gli occhi.
E anche se su questo punto Sturani è categorico. Una cosa è l’artista che pur di pagare le bollette di fine mese abbia consegnato qualche bozzetto approntato alla men peggio, e destinato a diventare l’immagine dal lato/illustrazione della cartolina. Tutt’altra cosa gli artisti che si sono avventati su quel rettangolino di cartone ad arricchirne il linguaggio, la valenza comunicativa, il gusto dell’invenzione e della sorpresa che vi sono contenuti.
Il bello delle cartoline è che tutti le compravano, tutti le spedivano; che entravano in tutte le case quei rettangolini di carta che da un lato avevano l’illustrazione e dall’altro l’indirizzo e un messaggio tanto migliore quanto più fulminante. Erano talmente diffuse da poter diventare il vettore formidabile di un messaggio politico. Tanto che durante la Prima guerra mondiale la serie di cento cartoline commissionate al pittore Olandese Louis Raemekers valsero al suo autore una condanna a morte (in contumacia) da parte del kaiser, da quanto quelle cartoline colpivano al cuore le ragioni dell’impero austroungarico.
Per le avanguardie europee che vanno in campo tra gli anni Dieci e gli anni Trenta, le cartoline saranno poi una manna. Che di più semplice e immediato da giostrare creativamente e da schiaffare in faccia ai “passatisti”? Tra i futuristi un maestro nel trattare creativamente la cartolina è Tato, uno che fondamentalmente era un fotografo. Particolarmente eccezionali sono le cartoline in cui un Balla interviene a mano, e dal lato dell’illustrazione e dal lato
del messaggio a far diventare quella specifica cartolina oggetto d’arte interamente alla maniera di Balla. E comunque saranno numerosi gli artisti che di una cartolina da loro particolarmente ideata e curata faranno un’edizione limitata, a connotarne immediatamente il carattere d’arte, a farla traboccare dalla sua natura di cartolina.
E anche se agli occhi dell’esperto e del conoscitore alla maniera di Sturani, il posto d’onore spetta alla cartolina che fa il suo mestiere di cartolina. Alla cartolina viaggiata e che è stata prodotta in gran numero di copie e che è andata per tutte le vie del mondo. Sturani scrive che nel caso di un autore celeberrimo come Gino Boccasile, i cui pezzi sono tra i più ambiti dai collezionisti, la cartolina viaggiata vale nel mercato dell’arte più dell’eventuale bozzetto originale sopravvissuto. Così come ancora mezzo secolo fa agli appassionati delle storie a fumetti interessavano gli albi che compravano in edicola e niente affatto le tavole originali da cui quegli albi provenivano, e difatti gli editori scaraventano via via nella monnezza le tavole originali, un vero e proprio olocausto dell’illustrazione italiana. Allo stesso modo le pietre litografiche su cui era stata incisa negli anni Dieci una delle serie più belle dell’intera storia della cartolina italiana, “La Danza macabra” di Alberto Martini, non interessavano nessuno e non vennero tenute in nessun conto. Finì che vennero usate a lastricare una strada. E tutto questo mentre erano desideratissimi i rettangolini di cartone con addosso i segni del genio grafico di Martini. Storie d’antan.