Nino Sunseri, Libero 17/10/2010, 17 ottobre 2010
L’EURO CI CONVIENE ANCORA?
Punto primo: se Italia Spa fosse quotata in Borsa le banche d’affari ne consiglierebbero l’acquisto perché sarebbe un’azienda con un bilancio finanziario in equilibrio tra attività e debito. Punto secondo: i primi a non volere l’Italia fuori dall’euro sono i tedeschi. Nelle dichiarazioni ufficiali hanno
toni burbanzosi. Nella realtà sanno bene che, per il bene della loro industria, è indispensabile che il nostro Paese stia ben dentro la moneta unica. A meno di non voler rischiare (per effetto di una selvaggia svalutazione) di assistere impotenti alla trasformazione di Verona in una capitale bavarese e la Riviera Romagnola nel rifugio preferito degli operai tedeschi. Avendo perso il lavoro, avrebbero l’indennità di disoccupazione pagata nella fortissima moneta di casa e potrebbero spenderla nella smilza lira ( o quel che sarà).
DEBITO PRIVATO
Due premesse indispensabili per capire il senso del dibattito in corso sulla revisione del Patto di Stabilità. Il ministro Tremonti sostiene che, nel calcolo vanno conteggiati sia il debito pubblico che quello privato. Su questo parametro l’Italia si troverebbe in sostanziale equilibrio: ai 1.800 miliardi del debito pubblico andrebbero sommati i mille miliardi del debito privato. A fronte ci sono 2.600 miliardi di risparmi investiti in attività finanziarie (con esclusione quindi di immobili, terreni e altri beni reali). Potremmo anche aggiungere che i mille miliardi di debito privato sono legati, in grandissima parte, a mutui per l’acquisto della casa e quindi assolutamente garantiti. Però sarebbe un discorso che ci porterebbe lontano. Già così il calcolo fra debiti e crediti è abbastanza spannometrico. Serve comunque a spiegare che l’Italia è messa di gran lunga meglio rispetto ad altri Paesi. Per esempio la Spagna che ha un debito pubblico pari al 60% del Pil. Se aggiungiamo, però, quello privato la percentuale sale al 360%. Il merito di Tremonti è stato quello di aver fatto capire la solidità del Paese e, subito dopo, di aver varato la manovra da 24 miliardi che, insieme all’ultimo pezzo della riforma delle pensioni, ha messo in sicurezza i conti dello Stato. Ora però si parla di una manovra correttiva da 40 miliardi l’anno per almeno cinque anni per rispettare i vecchi parametri di Maastricht. Quelli cioè che impongono di tenere il rapporto fra debito e Pil all’interno del 60%. L’Italia sta al 118%. Per rientrare nei limiti dovrebbe dimezzare il debito. È chiaro che una manovra da 200mila miliardi in cinque anni non è immaginabile. A meno di non voler precipitare in una recessione senza precedenti. Da qui l’idea che torna a far capolino: l’Italia fuori dall’euro. Una tentazione ricorrente tutte le volte che le difficoltà prendono l’Italia alla gola.
FAMIGLIE E IMPRESE
Anche qui sarà bene fare chiarezza una volta per tutte. L’uscita di un Paese dalla moneta unica non è prevista in nessun accordo. L’eventuale fuga dovrebbe essere il risultato di un atto unilaterale. Di tutta evidenza che un’operazione di questa importanza non potrebbe avvenire dalla sera alla mattina (basti pensare ai lunghissimi preparativi che hanno preceduto la nascita della moneta unica).
Gli attori del mercato ne sarebbero ben consapevoli: famiglie e imprese, anticipando che i depositi bancari sarebbero ridenominati in lire, con una lira che a quel punto avrebbe perso valore, trasferirebbero i loro conti correnti in altre banche dell’area euro. Ne deriverebbe una corsa al ritiro dei depositi bancari di livello sistemico. Gli investitori, anticipando che i titoli di Stato sarebbero ridenominati in lire, li sposterebbero su altri stati dell’area euro, provocando una crisi del mercato finanziario. Vista l’enormità del debito pubblico italiano, non sarebbe possibile al governo contrarre prestiti per soccorrere le banche e riacquistare il proprio debito: sarebbe la madre di tutte le crisi.
Tutto questo per dire che non appena la discussione su un possibile abbandono dell’area euro si fa seria, a finire subito è quella discussione, non l’area euro.