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 2010  ottobre 17 Domenica calendario

«NON TOCCO IL PDL TANTO A MARZO SI ANDRÀ ALLE URNE»

«Tanto è inutile, Fini non farà mai la riforma della giustizia con noi. È da sedici anni che mira a farmi fuori. E il suo obiettivo resta sempre lo stesso». Grandi speranze di un compromesso con il cofondatore pur di tirare a campare, non ne ha mai nutrite il Cavaliere. Men che meno in questi ultimi scampoli di convalescenza post intervento al tunnel carpale, che Silvio Berlusconi sta trascorrendo nel buen retiro sardo di Villa Certosa. Gianfranco Fini per il premier è politicamente morto e sepolto. «Ma i finiani...». Con loro, «si può ancora lavorare», ha ripetuto ieri il presidente del Consiglio a chi lo ha incontrato. Non è una speranza quella che il leader del PdL nutre nei confronti dei futuristi, ma «la certezza che torneranno all’ovile», ha detto testualmente a un suo ministro. Non tutti, certo, ma i più moderati, i finiani alla Viespoli, alla Consolo e alla Moffa, il premier è convinto che «al dunque molleranno Fini e sceglieranno me». E il «dunque» potrebbe essere proprio la «grande, grande, grande riforma della giustizia», il tema su cui il presidente del Consiglio ha ragionato più intensamente in questi giorni tra sé e sé e con i suoi consiglieri giuridici: il suo avvocato di fiducia Niccolò Ghedini e il Guardasigilli Angelino Alfano, che lo ha raggiunto venerdì in Sardegna con Gianni Letta, l’eminenza grigia di Palazzo Chigi. Ma anche ieri c’è stato un via vai di ministri alla Certosa. Insieme agli esercizi previsti dal programma di riabilitazione, il Cavaliere continua a lavorare. Nonostante il periodo di riposo consigliato dai medici dell’ospedale Humanitas di Rozzano dopo l’intervento di lunedì scorso. In Villa sono giunti anche alcuni amici, tra cui il suo cantante di fiducia, Mariano Apicella. Il Cavaliere dovrebbe lasciare Porto Rotondo domani. Chi gli ha fatto visita lo ha trovato «sereno», «allegro» e «per nulla turbato» dalle ultime tegole giudiziarie che sono precipitate su di lui e sul figlio Piersilvio.
La giustizia è il tema dei temi per il Cavaliere, più che mai adesso che Fini ha annunciato che proprio su questo cadrà il governo. E Berlusconi ha raccolto il guanto della sfida, mai così determinato a sfilare uno per uno al leader di Fli i suoi pretoriani. Convinto com’è che il presidente della Camera abbia stretto «un patto di ferro» con i giudici, come ha ripetuto il premier in questi giorni ai suoi. «Fini ha garantito ai magistrati che la farà lui la riforma della giustizia, ma come la vogliono loro, e infatti le procure non lo sfiorano neanche», avrebbe fatto notare Berlusconi a un esponente di governo con cui ha parlato al telefono. Al quale ha segnalato come «non casuale» il fatto che «l’inchiesta su Montecarlo sembra finita su un binario morto».
Ma è Berlusconi che intende mettere la firma sotto la riforma dell’ordinamento giudiziario, anche se tatticamente ne ha rallentato l’iter in questi giorni, per lanciare un segnale distensivo ai finiani e al Colle. Ridisegnare il modello delle toghe è la ragione per cui il Cavaliere scese in campo nel 1994, oltre che per sbarrare il passo ai comunisti. E non intende congedarsi dalle scene prima di aver separato la carriera dei giudici da quelle dei pm. Anche se la priorità del premier oggi è lo scudo contro i processi che incombono su di lui. Berlusconi punta a rimettere mano al legittimo impedimento per bloccare subito il countdown della Consulta, chiamata a pronunciarsi sulla costituzionalità del provvedimento il 14 dicembre, piuttosto che sul lodo Alfano. Lo scudo che porta la firma dell’attuale ministro della Giustizia, infatti, richiede molto più tempo per l’approvazione, essendo una legge di rango costituzionale e, in quanto tale, sottoposta alla duplice lettura di entrambi i rami del Parlamento. Su consiglio di Letta, per facilitare le trattative in corso tra Ghedini e la finiana Giulia Bongiorno sulla riforma della giustizia, Berlusconi ha di nuovo accantonato il processo breve. Non che l’abbia riposto nel cassetto. Anzi, lo tiene lì sulla scrivania come una pistola carica, pronto a impugnarla contro Fini e i suoi falchi, per stanarli e attribuire loro la colpa di un eventuale crisi di governo, se dovessero mandare a monte le trattative sulla riforma giudiziaria.
A riformare la legge elettorale, invece, Berlusconi non ci pensa proprio. Il Porcellum lo ha fatto tornare al governo nel 2008, quindi, dal suo punto di vista «funziona benissimo». Stessa ragione per la quale il Cavaliere, contrariamente al «ghe pensi mi» che pronunciò a ridosso della pausa estiva, oggi non ha intenzione di rimettere mano al partito. Tanto meno di sostituire i triumviri, almeno per ora. «Squadra che vince non si cambia», è il motto che il premier ha consegnato ai fedelissimi, con i quali si dice sempre più convinto che si vada al voto in primavera. «E non si è mai visto», chiosa un suo fedelissimo, «che un partito cambi la sua cabina di regia a ridosso delle elezioni».
Barbara Romano