Franco Bechis, Libero 17/10/2010, 17 ottobre 2010
OTTAVO PROCESSO AL CAV DOPO SETTE ASSOLUZIONI
L’inchiesta della procura di Roma su Silvio Berlusconi che ieri ha dato molti titoli di prima pagina a quasi tutti i quotidiani non è proprio una novità dell’ultima ora. Ben portati, ha quasi una ventina di anni sulle spalle. Sì, perché è dall’inizio del processo All Iberian che i magistrati di mezza Italia girano intorno a quelle carte. Sono sempre le stesse, non è che ci siano fatti nuovi. Ma processo dopo processo rispuntano fuori, perché un po’ come fanno i contadini con il maiale, se c’è da incastrare Berlusconi i pm non buttano mai via niente. Alla base c’è una scoperta dei magistrati che a dire il vero è un po’ come quella dell’acqua calda: i diritti televisivi si acquistano da intermediari, e la triangolazione fa ottenere normalmente un vantaggio fiscale. L’ hanno spiegato inutilmente ai magistrati molti operatori del settore: lo stesso bene viene venduto in paesi a regimi fiscali diversi e per unificare il trattamento e rendere possibili quegli acquisti solitamente li si fa passare attraverso società intermediarie con residenza in regimi fiscali agevolati (un tempo il Lussemburgo).
Accuse diversificate
Detto questo la tesi dei magistrati è che il gruppo Fininvest-Mediaset facesse quella triangolazione con società riconducibili a una serie di intermediari, fra cui l’americano Frank Agrama, per costituire fondi neri. La prima ipotesi investigativa fu quella contenuta nel processo All Iberian: i fondi neri servivano a finanziare Bettino Craxi. Fu il primo maxi processo a Berlusconi. Ma per una serie di clamorosi errori tecnici dei magistrati quel processo fu un naufragio. Spezzato in due e più volte ricominciato da capo, quel processo si fermò davanti alla ricostruzione di Tarak Ben Ammar. Che spiegò come con il surplus dei diritti tv si era finanziato non Craxi, ma Yasser Arafat in un momento fondamentale degli equilibri medio-orientali. I giudici non credettero a Tarak, e incriminarono Berlusconi per falso in bilancio, che però non era più reato. Quindi Berlusconi fu assolto. Ma appunto come si fa con la carne del maiale i pm di Milano prima ancora di quella sentenza decisero di non usare le stesse carte per un’altra accusa. Puntando il faro dell’inchiesta più su Agrama che su Ben Ammar, decisero di incriminare Berlusconi e molti suoi collaboratori per falso in bilancio e frode fiscale. È così che è nata l’inchiesta Mediatrade.
A dire la verità in questo caso era assai difficile coinvolgere Berlusconi: dal 1993 non aveva più alcuna carica societaria. Se mai fosse stato compiuto reato, la responsabilità penale sarebbe spettata ai vari amministratori pro tempore che si sono succeduti alla guida delle società. Ma i pm trovarono l’uovo di Colombo: gli ordini li avrebbe dati tutti Silvio nel 1993. Ad eseguirli di volta in volta non presidenti e manager anche dal curriculum riconosciuto, ma “prestanome”. Durante l’inchiesta dei pm di Milano però è stato depenalizzato il reato di falso in bilancio. I giudici furibondi, mica si sono arresi. Hanno dovuto chiudere il processo per forza di cose: la legge deve essere rispettata perfino da loro.
Ma hanno ripreso lo stesso materiale, hanno mischiato bene le carte ed è uscito fuori un reato nuovo: appropriazione indebita. Ma come, era frode fiscale e falso in bilancio? Nossignori, avevamo sbagliato capo di imputazione, questa è appropriazione indebita. I fatti sostanzialmente sono sempre gli stessi del 1993. I faldoni si sono arricchiti di rogatorie e testimonianze varie (gli uffici del povero Agrama sono
stati rivoltati come un calzino dall’Fbi dopo una rogatoria della procura di Milano, senza ottenere apprezzabili novità), ma al fondo c’è sempre quel tema: l’acquisto dei diritti cinematografici per la tv e la triangolazione con intermediari per ottenere fondi neri. Processualmente non è mai stata prodotta la prova che si tratti davvero di fondi neri. Ma ogni volta che i pm vengono battuti in tribunale, il giorno dopo riprendono tutto il materiale che hanno cambiando totalmente il capo di accusa.
Senza prove
I presunti fondi neri prima sarebbero stati creati per dare soldi illegalmente a un partito. Ma l’ipotesi non ha tenuto. Poi per truccare i bilanci di Mediaset e fregare i piccoli azionisti. Anche questa tesi è crollata. Allora è rimasta questa bella idea: i fondi neri sono stati utilizzati per fregare il fisco e Berlusconi che era socio occulto degli intermediari se ne sarebbe appropriato. Prove? Al processo nemmeno una. Solo indizi, non particolarmente ficcanti: tutti dicevano che comandava lui, gli intermediari erano suoi amici, quando hanno provato a fare a meno degli intermediari dicono che Silvio si sia infuriato. Elementi che in un processo normale si sarebbero sciolti come neve al sole.
In quasi venti anni di inchiesta i magistrati non sono riusciti a sfoderare la smoking gun che provi la certezza sui fondi neri e la sicurezza di una relazione di quei fondi con Berlusconi. Di fronte alla debolezza delle prove come sempre si cerca di irrobustirle alzando un bel po’ di polvere mediatica. Perché da venti anni il processo è sempre lo stesso, ma cambiando in continuazione i capi di accusa invece che uno oggi sembrano dieci processi. E siccome dieci non bastavano, i pm di Milano hanno battuto una nuova strada che li moltiplica ancora: spezzettare quelle carte a seconda delle società che hanno acquistato i diritti tv. Questa aveva sede a Roma? Carte a Roma dove si ricomincia tutto da capo: Berlusconi indagato, nuovo processo (ma è sempre lo stesso!).
Questa società era a Venezia? Carte a Venezia e tutto ricomincia da capo... E così lungo l’Italia. Una furbizia, perché siccome i fatti sono sempre gli stessi e nessuno potrebbe essere processato venti volte per la stessa cosa, alla fine i procedimenti dovrebbero essere comunque riunificati.
Non è un braccio di ferro giudiziario quello che si sta svolgendo, quindi. È una vera e propria guerra davanti all’opinione pubblica. I pm fanno il miracolo delle nozze di Cana: lo stesso procedimento si moltiplica all’infinito. Ogni volta Berlusconi urlerà al complotto. Ma certo, una volta avrà ragione, due forse, anche la terza. Ma venti volte? Non è che sarà davvero colpevole? Anche i fedelissimi così dubiterebbero. E invece è solo opera di qualche illusionista. I temi sono solo due: Berlusconi cosa c’entra davvero con l’acquisto dei diritti tv dal 1993 ad oggi? E lui o i manager Fininvest hanno costituito o no fondi neri attraverso gli intermediari. Se la prima risposta è no, Berlusconi esce da ogni processo. Se è sì, bisogna guardare la seconda risposta. E provare una sola volta (non venti) che quei fondi neri esistono. E che siano finiti nelle sue tasche. Tutto il resto è solo politica. Anche se la fanno i pm.