Angela Pascucci, il manifesto 16/10/2010, 16 ottobre 2010
CRISI E RIFORME, IL PARTITO VARA LO SVILUPPO INCLUSIVO
Grandi manovre a Pechino. Il Comitato centrale del Pc ha iniziato ieri la sua riunione plenaria annuale. Per quattro giorni, 204 membri permanenti e 167 alterni discuteranno dietro le porte chiuse dell’Hotel Jinxi su come portare a termine una nuova, cruciale fase di transizione politica ed economica. Entro il 2012 una nuova leadership, la cosiddetta «quinta generazione», prenderà il posto di Hu Jintao e Wen Jiabao alla testa del partito, dello stato, dell’esecutivo, dei militari. Quanto all’economia, è preannunciato un piano quinquennale (2011-2015) che cambierà i connotati del modello di sviluppo cinese.
Su questi due punti nel prossimo fine settimana il partito regolerà i propri conti interni per raggiungere un compromesso che garantisca l’unità, elemento considerato a tutt’oggi decisivo per mantenere il controllo di un paese sempre più complesso.
Questa volta il segreto rito annuale si tiene su uno sfondo in ebollizione. Dopo l’assegnazione del premio Nobel per la pace a Liu Xiaobo si sono aperte le cateratte. Ieri è planata sulla scena anche una lettera firmata da 100 studiosi che chiedono la liberazione di Liu e di tutti i prigionieri politici cinesi e auspicano che la Cina «si unisca alla visione condivisa dell’umanità civilizzata abbracciando i valori universali». Quest’ultima presa di posizione si aggiunge alla lettera di 23 anziani ex alti quadri del Pcc, che nei giorni scorsi si erano scagliati contro il sistema della censura, raccogliendo le adesioni di altre 476 personalità. A suscitare stavolta un’attesa mai registrata prima nei confronti del Plenum vi sono anche le congetture sulla posizione del premier Wen Jiabao che tra agosto e settembre è intervenuto più volte in favore di una riforma del sistema politico: con un’intervista alla Cnn, nella quale il premier cinese ha asserito che le richieste di «democrazia e libertà in Cina diventeranno irresistibili», facendo anche trapelare divisioni all’interno dei vertici.
Se l’intervista alla Cnn è stata censurata in patria, ieri numerosi giornali hanno pubblicato una raffica di articoli in cui si interrogano su Wen e le prospettive di riforme. Perplessità, speranze, scetticismo, hanno accolto in Cina e fuori le esternazioni del capo del governo. Di fatto Wen Jiabao poco o nulla ha fatto negli anni in cui ha avuto pieno potere, tranne accreditare l’immagine di un leader («nonno Wen») vicino al popolo nei momenti più duri (catastrofi, crisi economica).
Adesso si avvia verso l’uscita e due anni sembrano pochi per una questione titanica come la riforma politica dell’apparato partito-stato. La questione potrebbe però condizionare la successione. Finora non sembra vi sia stato un cambio di rotta nella designazione di Xi Jinping e Li Keqiang come successori di Hu e Wen nel 2012. Si attende dal Plenum un’ulteriore approvazione del primo, destinato a coprire il ruolo più sensibile di capo dei capi, espressa dal suo ingresso nella Commissione militare centrale. Ma le biografie di questi esponenti della «quinta generazione», chiuse nei file di carriere burocratiche al servizio fedele del Partito, non offrono appigli in nessun senso.
Se è difficile fare previsioni a lungo termine sul futuro cinese, si può però essere certi che dalle porte chiuse del Plenum non uscirà una parola chiara sui nodi politici da sciogliere. La preoccupazione della stabilità farà premio su qualunque altra considerazione, ed è chiara la volontà, espressa dalle anticipazioni dell’agenzia ufficiale Xinhua, di affermare che al centro del Plenum ci sarà esclusivamente il prossimo piano quinquennale e i molti problemi da risolvere. Tanto più in un momento in cui la crisi globale sta incarognendo gli animi degli stati nazionali e Pechino sente di essere sospinta ogni giorno di più nel ruolo del «cattivo».
Un piano di proporzioni colossali, con enormi ambizioni, quello che si profila. Un percorso che tra il 2011 e il 2015 dovrà portare la Cina a crescere a un passo più lento ma più equilibrato e sostenibile, dal punto di vista economico, sociale e ambientale. Secondo le anticipazioni la nuova parola chiave sarà «sviluppo inclusivo», slogan che il presidente Hu Jintao ha ripreso dall’Asian development bank per esprimere l’enfasi rinnovata sulla qualità della crescita piuttosto che sulla sua quantità, che infatti sarà fissata al 7%.
Stando alle indiscrezioni raccolte dal South china morning post di ieri, sul tavolo di questa nuova scommessa il governo lancerà 4mila miliardi di yuan (oltre 400 miliardi di euro), somma pari al piano di stimolo per contrastare le crisi del 2008. Saranno investiti nei settori industriali strategici, anche nelle aree dell’interno del paese, per innalzare il livello della struttura produttiva (più hi tech ed energie rinnovabili, meno manifattura e produzioni inquinanti). Ma saranno usati anche per colmare l’abisso delle ineguaglianze, e dunque per welfare, redistribuzione dei redditi, stimoli al consumo. Il Partito rilancia. Sono aperte le scommesse sul nuovo braccio di ferro tra «è l’economia, bellezza» e le riforme politiche.