Alessandro Penati, La Repubblica 16/10/2010, 16 ottobre 2010
LA GIUSTIZIA CIVILE RESTA UNA CENERENTOLA
Nel gattopardesco mondo della politica italiana, l´unica certezza è che i fari rimarranno puntati sulla giustizia penale; quella civile, resterà una cenerentola. La cronica disfunzionalità del sistema giudiziario civile viene trattato come un fastidioso, quanto inevitabile, elemento del paesaggio; che però impone costi ingenti all´economia del Paese (e al senso civico). Da anni le procedure civili subiscono continue, quanto inutili riforme: 15 anni fa, per i tre gradi di giudizio, ci volevano in media 8 anni e 10 mesi; oggi ce ne vogliono 9 e mezzo.
Causa dell´inefficienza non è la mancanza di risorse. Anzi, quanto a spesa pubblica per la giustizia, l´Italia è seconda solo a Belgio e Germania; abbiamo quasi 9000 magistrati, 1,5 ogni 10.000 abitanti rispetto alla media europea di 1,2; in proporzione, più tribunali di tutti, e addirittura 35 avvocati ogni 10.000 abitanti (8 in Francia e 18 in Germania). Una professione legale che trae beneficio dal tasso di litigiosità e dalla lunghezza dei procedimenti, e una magistratura che difende la frammentazione territoriale delle sedi giudiziarie, sono un ostacolo ad ogni riforma radicale. Ma più di tutto pesa l´approccio sbagliato alle riforme: si guarda prevalentemente agli aspetti giuridico-procedurali, dimenticandosi che l´efficienza di ogni organizzazione va ricercata attraverso un efficace sistema di incentivi e sanzioni.
Il principale problema italiano è l´elevata litigiosità, che non è solo un tratto caratteriale, bensì un comportamento razionale, figlio dell´incertezza e divergenza di opinioni sull´applicazione delle norme, e quindi sul risultato atteso di un procedimento civile. Più il criterio di applicazione della legge è chiaro e uniforme, più l´esito di un procedimento è scontato, minore l´incentivo a ricorrere ai tribunali, e maggiore è l´interesse a conciliare rapidamente le vertenze. L´ultima riforma, che istituisce la mediazione privata prima di accedere al tribunale, per esempio, non riducendo l´incertezza sull´applicazione della legge, e quindi sul risultato di un eventuale procedimento, finirà solo per allungare i tempi della giustizia (aggiungendo di fatto un "quarto grado" preliminare). E crea la nuova figura del "mediatore", in un paese già affollato di avvocati.
Che l´alea sull´applicazione della norma sia il problema principale è dimostrato dall´elevato numero di ricorsi in appello delle cause concluse in primo grado (tra i più elevati in Europa), ma soprattutto la percentuale delle sentenze di 2° grado che accolgono l´appello: una su tre! Se chi ricorre ha un´alta probabilità di veder accolto l´appello, avrà un forte incentivo a ricorrere; intasando le Corti d´Appello: 1200 procedimenti l´anno in media per collegio giudicante (Szego, Quaderni Banca d´Italia). La legge viene dunque percepita come un azzardo dall´esito incerto, sul quale vale la pena scommettere. Obiettivo primario della riforma dovrebbe essere, pertanto, la Cassazione, che ha proprio il compito di uniformare i criteri di giudizio; ma che invece contribuisce ad aumentare l´alea percepita, ribaltando a sua volta oltre un terzo delle sentenze di 2° grado.
L´efficienza della giustizia civile passa dalla certezza dell´applicazione della legge, che richiederebbe uniformità nei giudizi della Cassazione, e l´obbligo di adesione di tutti i giudici alle sentenze della Cassazione. L´accoglimento di un ricorso sul giudizio di grado inferiore dovrebbe essere visto come un´indicazione di errore, e quindi nota di demerito nella carriera del giudice. L´alternativa di una drastica limitazione del diritto di appello, o una riduzione dei gradi del giudizio civile, mi sembra meno percorribile.
C´è poi il problema della variabilità del numero e della durata dei procedimenti tra i vari tribunali italiani: un appello a Bologna dura il doppio che a Torino; a Reggio Calabria il quadruplo che a Trento; i procedimenti pendenti a Catania sono il doppio di Milano; e a Venezia, il triplo di Genova. Dati schizofrenici che indicano l´assoluta necessità di una riorganizzazione territoriale della giustizia e un approccio più manageriale nel funzionamento dei tribunali.
Ma temo che quella della giustizia civile sia la classica riforma che non c´è.