Agnese Codignola, L’espresso 21/10/2010, 21 ottobre 2010
OPERATI DAL ROBOT
(articolo, scheda e box) -
Andrea Coratti siede alla consolle a meno di un metro dalla sua paziente, stesa sotto la luce abbagliante del letto operatorio. Si chiama Maria, ha 38 anni ed è davvero nei guai. Colpa di un tumore nascosto dentro l’addome. Ha attaccato il duodeno, la prima parte dell’intestino, la più rognosa perché abbraccia la testa del pancreas e si avvolge fino a coinvolgere i condotti del fegato. Eliminare quel cancro significa mettere mano a tutto il sistema, asportarne ampie porzioni e ricostruire le parti necessarie a vivere. Un’operazione delicatissima, che i chirurghi solitamente fanno tenendo l’addome aperto a lungo, e senza essere affatto sicuri del risultato, ma certi che per riprendersi dall’intervento al paziente ci vorranno mesi. Alla signora Maria, invece, è andata diversamente: una settimana dopo l’operazione è andata a casa, e Coratti le ha tolto tutto il tumore con soltanto tre incisioni di pochi millimetri e una di quattro centimetri; stando seduto alla sua consolle. Dalla quale governa un apparecchio straordinario: un moloch alto due metri con quattro bracci estensibili capaci di manipolare sonde e ferri chirurgici molto piccoli. Si chiama Da Vinci ed è capace di realizzare le mosse studiate dal chirurgo sul video senza aprire l’addome. Anzi, grazie ai bracci, alle sonde e ai ferri di cui dispone, vi penetra attraverso fori minuscoli e compie operazioni di altissima precisione, proprio come farebbe il chirurgo con l’addome aperto davanti. Anzi, molto meglio.
Ed è impossibile trovare qualcuno di titolato che dica il contrario. Le performance del robot sono tali che in dieci anni si è diffuso ovunque. Ma è da Grosseto che è partita la rivoluzione. Quando, nel 2000, Pier Cristoforo Giulianotti, chirurgo generale della Misericordia, ha convinto l’amministrazione ad acquistare il primo robot chirurgico italiano. All’inizio, a dire il vero, Giulianotti ha usato il suo Da Vinci per piccoli interventi mininvasivi, non molto diversi da quelli che vengono fatti in laparoscopia ormai quasi ovunque. Poi, l’exploit che ha lasciato tutta la comunità scientifica a bocca aperta: l’asportazione di due lesioni tumorali nel pancreas di una ragazza di 28 anni, lasciando l’organo intero e permettendo alla giovane di tornare alla sua vita normale dopo una settimana. E pensare che il pancreas è la bestia nera dei chirurghi addominali: è nascosto in profondità, delicato e in contatto stretto con gli altri organi addominali. Riuscire quindi a intervenire in modo radicale senza aprire tutto l’addome e senza asportare l’organo era impensabile. Ma il team Giulianotti -Da Vinci in pochi anni ha battuto una decina di record: la prima asportazione di un polmone, il primo prelievo da vivente della metà destra del fegato a scopo di trapianto, la prima riparazione di un aneurisma renale, l’asportazione di parte del pancreas con contemporaneo autotrapianto delle cellule che producono insulina, al fine di evitare un diabete post operatorio. E a Grosseto sono arrivati, a poco a poco, oltre 400 chirurghi a imparare come si opera col robot, mentre la chirurgia robotica usciva dalla nicchia di un talentuoso chirurgo grossetano fino a imporsi nel Paese: oltre mille interventi eseguiti, circa 150 all’anno, un po’ in tutti i settori, dall’urologia alla ginecologia, dall’ortopedia all’otorinolaringoiatria, dalla chirurgia addominale a quella neurologica e ad altro.
Inutile dire che il talentuoso Giulianotti ha accettato di andare a dirigere il centro chirurgico dell’Università dell’Illinois di Chicago. C’è da scommettere che nessun grande ospedale ha provato a trattenerlo con offerte comparabili a quelle americane, anzi la sua decisione è, almeno in parte, causata dalla guerra che gli hanno fatto colleghi e burocrati. Ma tant’è perché il piccolo ospedale di Grosseto è comunque diventato un centro conosciuto a livello internazionale dove si continuano a sperimentare col Da Vinci frontiere impensabili anche solo fino a qualche mese fa. Perché nuovi interventi si aggiungano con cadenza quasi mensile alla già lunga lista di ciò che può fare un robot: a Modena nelle settimane scorse è stata asportata una tiroide senza incisioni nella gola, ma passando dall’ascella, a Pisa si è tolto un tumore uterino a una donna gravemente obesa che non avrebbe sopportato un intervento addominale classico.
Ma mentre da un lato continuano a spostarsi le frontiere dell’utilizzo del robot, dall’altra Da Vinci ha trasformato radicalmente la prassi normale delle sale operatorie. Come spiega Andrea Coratti, che oggi opera alla Misericordia di Grosseto: "Il robot nasce per migliorare le performance della chirurgia mininvasiva, laparoscopica, che aveva già rivoluzionato quella tradizionale negli anni Novanta. Tuttavia l’intervento con la laparoscopia ha dei limiti, perché il chirurgo opera tramite strumenti lunghi una trentina di centimetri, che amplificano il naturale tremore, e può avere una visione solo bidimensionale. Il robot ovviamente elimina il tremore e conferisce una visuale molto più completa, ingrandita. Inoltre può compiere fino a sette movimenti (con la laparoscopia ne erano possibili solo quattro), e si avvale di bracci meccanici che montano gli strumenti chirurgici, permettendo di arrivare laddove spesso il chirurgo si deve fermare. Quest’ultimo, comunque, controlla ogni gesto da una consolle, in una visuale tridimensionale".
A beneficiare delle performance di Da Vinci è stata soprattutto la chirurgia addominale e quella uro-ginecologica; oggi è normale, negli oltre 40 centri che in Italia hanno un robot, che asportazioni della colecisti, plastiche antireflusso, interventi all’esofago o allo stomaco, asportazioni di porzioni del colon o dei polmoni, dei fibromi uterini, della prostata e di molto altro siano effettuate con incisioni di pochi millimetri, con minore perdita di sangue, degenza post operatoria molto più breve e minor rischio di complicazioni.
Ma non sempre Da Vinci può essere d’aiuto. Spiega Coratti: "Il robot è uno strumento chirurgico come altri, fa parte della dotazione della sala, ma può anche non essere usato, o intervenire solo per esigenze specifiche in certi momenti: non è, in altre parole, un ferro magico. Al tempo stesso, però, non è neppure un ferro qualunque, e deve essere usato solo da chi ha portato a termine una preparazione specifica, prima di tutto culturale".
Il chirurgo robotico, infatti, deve avere una formazione adeguata e deve aver fatto un training specifico, così come tutta l’équipe, dall’anestesista agli assistenti, dagli infermieri specializzati fino a quelli dei reparti. E ciò presuppone un investimento - economico ma non solo - da parte di chi amministra l’azienda, che deve appoggiare il personale in quella che spesso è una modifica radicale del modo di pensare e di operare. "Ma ciò che conta, in chirurgia robotica come in laparoscopia, è l’esperienza, unita a un utilizzo razionale degli strumenti", chiosa il chirurgo.
Insomma col Da Vinci si deve saper dialogare e questo s’impara innanzitutto passandoci molte ore assieme. E proprio questo spiega a un fenomeno che può apparire singolare: il robot in Italia si è affermato essenzialmente in centri ospedalieri piccoli come Grosseto, seguito da Aosta, Savona, Padova, Campo S. Piero, Bari, Acqua Viva delle Fonti, Cefalù, perché richiede uno sforzo culturale comune, tempi di apprendimento, trasformazione di intere équipe. Un dinamismo, in buona sostanza, che male si accoppia sia con le lentezze e le diffidenze delle grandi cattedre rette da baroni avvinghiati alla loro prassi di sala, sia con l’elefantiasi organizzativa dei grandi centri polispecialistici. Solo negli ultimi anni, infatti, i grandi poli come gli ospedali Sacco, Ieo e Niguarda di Milano o San Giovanni di Roma hanno iniziato a dotarsi dei primi robot.
Ma un ulteriore impulso arriverà a breve. Perché se è vero che i costi impediscono una diffusione ancora più capillare, è anche vero che stanno per scadere diversi brevetti della Intuitive Surgical, l’azienda californiana monopolista, e questo darà spazio a una concorrenza che potrebbe portare a strumentazioni molto innovative e a prezzi più contenuti.
Naturalmente, restano interventi che è meglio condurre per via tradizionale come quelli per l’asportazione di tumori molto grandi, ma in diversi casi già oggi viene considerato non etico non utilizzare il robot, se lo si ha a disposizione. La medicina più avanzata, è stato dimostrato in diverse occasioni, comporta sempre cambiamenti culturali, necessità di formazione e costi aggiuntivi, ma se i dati dimostrano, e ormai lo dimostrano senza equivoci, che l’intervento robotico è il migliore per il paziente, bisognerà cominciare a scrivere questa nuova pagina non tanto della chirurgia, perché quella è già scritta, ma della amministrazione delle nuove tecnologie Il Da Vinci e i suoi chirurghi costano. Ed è bene che le autorità sanitarie e gli amministratori scrivano in fretta, nero su bianco, le regole per il suo utilizzo. Stando bene attenti che nessuno butti via denaro pubblico per fantasiose prove di destrezza, ma anche che siano disponibili i fondi necessari per offrire al paziente il meglio per la sua salute.
****************
QUANDO VIENE USATO
Gli interventi in cui il robot aiuta il chirurgo sono ormai moltissimi. Eccoli
Uro-ginecologia. È uno dei settori in cui il robot ha avuto più successo. È infatti in grado di asportare reni, vesciche, prostate con una precisione e una mininvasività mai raggiunta e, in alcuni casi, di favorire la ricostruzione (per esempio della vescica). Il robot viene poi usato in ginecologia per asportare fibromi e tumori ovarici, per curare endometriosi, prolassi uterini, per fare isterectomie e biopsie dei linfonodi pelvici: secondo chi lo usa ha virtualmente eliminato la necessità delle grandi incisioni addominali.
Gastroenterologia. Il robot riesce a intervenire su fegato e pancreas per asportare cisti, calcoli, tumori e per altri interventi, compresi i trapianti da vivente (per esempio di fegato), spesso in modi preclusi alle mani del chirurgo. Inoltre può asportare cistifellee, fare by pass gastrici per la cura dell’obesità; per il colon in molti casi è ormai considerato lo strumento più appropriato, da preferire rispetto alla laparoscopia.
Pediatria. Data la difficoltà tecnica degli interventi chirurgici sui bambini, negli Stati Uniti il robot si sta affermando rapidamente in pediatria. Opera infatti ernie, ricostruzioni, asportazioni di tumori e molto altro. L’utilizzo richiede però una formazione ancora più specifica, da fare in centri ad altissima specializzazione. Uno di questi, che ha fondato una scuola per l’insegnamento, è il Children’s Hospital di Boston.
Ortopedia. Esistono versioni specifiche di robot per intervenire sulle ossa, legamenti, tendini e articolazioni. Le applicazioni più diffuse sono la protesi dell’anca, la ricostruzione del legamento crociato e quella del ginocchio.
Otorino. Tumori di testa e collo (laringe, faringe, esofago, cavo orale e così via) e tiroide vengono asportati dal robot con interventi molto meno demolitivi rispetto a quelli classici. Queste applicazioni sono per lo più in fase sperimentale, ma è probabile che si affermino nel futuro prossimo.
Neurochirurgia. Sono robot a tutti gli effetti anche i cyber kinfe, bisturi la cui lama è costituita da fasci di radiazioni ad altissima energia comandati dal robot per trattare tumori cerebrali un tempo spesso giudicati inoperabili. Altri robot specializzati sono quelli usati per gli interventi stereotassici, sulla testa: il robot permette di intervenire con un’altissima precisione, elemento di particolare importanza quando si opera il cervello.
*************
DOLLARI SPESI BENE
Ma quanto costa operare con il robot? E, soprattutto, sono costi giustificati dai risultati? Jim Hu, chirurgo del Brigham and Women’s Hospital di Boston, ha analizzato circa 8 mila interventi alla prostata e illustrato su "Jama", che il robot accorcia i tempi di degenza (e quindi fa risparmiare) e riduce le perdite di sangue, ma provoca un maggior numero di casi di incontinenza e impotenza. Tuttavia, chi il robot lo usa ogni giorno, come lo statunitense Vipul Patel, che con le sue 3.500 asportazioni robotiche della prostata detiene il record mondiale, sostiene che le osservazioni di Hu sono discutibili perché in un numero così grande di interventi entrano di sicuro anche quelli fatti da chirurghi inesperti, che pregiudicano l’esito e fanno spendere molti soldi inutilmente; e suggerisce che il robot sia affidato solo a mani molto esperte.
A metà settembre Gabriel Barbash, ricercatore del Dipartimento di Salute pubblica del Sourasky Medical Center di Tel Aviv, ha fatto a sua volta due conti partendo da molti interventi robotici diventati ormai dei classici, e ha riportato i risultati sul "New England Journal of Medicine". Così ha mostrato che l’asportazione della colecisti negli Stati Uniti costa 500 dollari per via laparoscopica e 1.700 per via robotica, la riparazione della valvola mitralica 600 e 3.700, rispettivamente, mentre l’asportazione della prostata costa 2.200 per via tradizionale, e può variare da 400 a 4.800 se c’è il robot. Ma ha anche dimostrato che ci sono già interventi che hanno un costo sovrapponibile se fatti in laparoscopia o con il robot: l’asportazione della milza, per esempio, che costa rispettivamente 3 mila e 3.200 dollari. Non solo. Secondo molti esperti questo tipo di calcoli è fallace perché bisognerebbe sempre tenere conto anche di altri parametri. Jason Barnett, del San Antonio (Texas) Military Medical Center, ha elaborato un modello matematico e lo ha applicato all’asportazione dell’utero, valutando il costo sociale dell’intervento, e ha concluso che l’operazione tradizionale costa in media 12.847 dollari e quella robotica 11.476. Se poi si vanno a vedere i giorni necessari per tornare alle normali attività stravince il robot: 24, contro i 52 del chirurgo classico.
**********
IN PRINCIPIO FU LA NASA
Ci si era messa la Nasa, insieme agli ingegneri della Micro Dextery System di Pasadena, a progettare, all’inizio degli anni Ottanta, un chirurgo non umano, capace di salvare le vite dei soldati che cadono sul campo di battaglia. Tanti soldi, come sempre quando c’è di mezzo la ricerca militare. E un risultato: il Rams (Robotic Assisted Micro Surgery) che, però, in guerra si è dimostrato del tutto inutile. Ma Rams era lì, e a qualcuno venne in mente come utilizzarlo. A vincere la corsa, nel 1985, è stata la Mark V’s Automation Corp di North Oaks, in Minnesota, che ha costruito Puma560, un robot capace di eseguire la prima biopsia al mondo totalmente automatizzata. Tre anni dopo, gli inglesi: Prorobot, sviluppato all’Imperial College di Londra, asporta per la prima volta una prostata. Poi, nel 1992, il primo vero robot chirurgico, Robodoc, della californiana Integrated Surgical Systems, che realizza la prima sostituzione robotica di un’anca con una protesi. Sono questi gli antenati del Da Vinci, realizzato dalla Intuitive Surgical di Sunnyvale che nel 2000 ottiene la prima autorizzazione della Fda e in tre anni diventa monopolista a livello planetario.
Oggi nel mondo ci sono circa mille Da Vinci attivi in una novantina di paesi. I primi robot sono già invecchiati. E continuano le sperimentazioni per interfacciare le capacità meccaniche con l’intelligenza artificiale, per realizzare cioè sistemi nei quali il computer, elaborando le immagini in 3D inviate dai sistemi di imaging del robot, decide come farlo muovere, per limitare al massimo gli errori e i rischi quando si interviene in aree delicate.