Federica Bianchi, L’espresso 21/10/2010, 21 ottobre 2010
CHI COMPRA L’AFRICA
La chiamano il colonialismo del nuovo millennio questa corsa all’accaparramento delle terre di mezzo mondo. Anziché le navi, i nuovi coloni utilizzano gli aerei. E per aggiudicarsi ettari su ettari di terreno fertile non si affidano al fucile, ma a valigette piene di soldi. Il territorio di conquista preferito è, ancora una volta, il Continente africano, con i suoi Stati immensi e i governi logorati dalla corruzione. Ma non disdegnano neppure America Latina, Malesia, Indonesia e perfino gli ex Stati comunisti dell’Europa orientale, Ucraina in testa. Pensare che prima del 2008, l’anno della crisi alimentare globale, l’agricoltura non interessava quasi più a nessuno. A occuparsi dell’utilizzo delle terre dei paesi in via di sviluppo erano rimaste le solite ong e poi la Cina, che ben prima degli altri ha fatto dell’Africa il suo forziere di risorse naturali. Ma la vertiginosa ascesa dei prezzi di materie prime, agricole incluse, ha convinto molti Stati e altrettanti investitori ad aggiudicarsi abbondanti quantità di terreno in casa altrui. Secondo le stime dell’Ifad, oltre 20 milioni di ettari di terra sono stati acquistati negli ultimi due anni da entità straniere, per la maggior parte in Africa e Sud America. In totale oltre 50 milioni di ettari sono stati vittima dell’"accaparramento".
Si tratta di terre utilizzate da secoli dalle popolazioni locali a cui manca però una prova formale di proprietà, elemento che lascia mano libera a chi ne vuole trarre un vantaggio personale. In casi tristemente famosi come quelli dell’Etiopia, del Mali e del Sudan i governi non si sono fatti scrupolo alcuno di vendere quello che considerano suolo pubblico al miglior offerente, incassando personalmente gli introiti. Il risultato è l’ulteriore depauperamento della popolazione di un continente dove tre abitanti poveri su quattro abitano nelle campagne da cui dipendono totalmente per la sussistenza. "L’acquisto delle terre da parte di investitori stranieri distrugge l’agricoltura familiare e costruisce un sistema di proprietà che escluderà per sempre gli abitanti", spiega Antonio Onorati, presidente del Centro internazionale crocevia, che del tema parlerà nell’incontro di quest’anno delle comunità di Terra Madre: "Non a caso del miliardo di affamati che esistono al mondo, 800 milioni sono piccoli produttori di cui 600 milioni sono contadini".
A diventare ricchi sulle loro spalle sono innanzitutto gli accoliti di dittatori come l’etiope Meles Zenawi e il sudanese Omar al-Bashir, poi governi di Stati come il Mozambico e il Mali, dove in vendita è stata messa perfino una zona con tre cimiteri (sistematicamente smantellati, con buona pace delle anime che vi riposavano). Infine, ci sono gli acquirenti che Onorati divide in tre categorie: i governi e le loro istituzioni, gli investitori speculativi privati o semi-privati e gli investitori nazionali, una realtà in rapida crescita.
Tra i governi più attivi vi erano India e Cina, ma quest’ultima, sotto la pressione occidentale, ha annunciato in occasione del G8 dell’Aquila di avere cessato la campagna pubblica di acquisti. Diversa è la posizione di Arabia Saudita e Libia che, consci di avere sì enormi riserve petrolifere, ma di estendersi su territori desertici, si sono prepotentemente gettati nella mischia degli acquisti territoriali. Oggi la Libia di Gheddafi possiede oltre 400 mila ettari di terra in Mali attraverso un braccio del suo fondo d’investimento sovrano, il Libia Africa Investment Portfolio, mentre il King Abdullah Initiative for Saudi Agricultural Investment Abroad aiuta le società saudite in paesi con un grande potenziale agricolo.
Tra gli investitori privati, proprio i fondi speculativi in cerca di nuovi rendimenti sono gli attori più scaltri (e scalmanati) di questo business del nuovo millennio. Non solo fondi del Golfo, come Al-Qudra Holding di Abu Dhabi, ma anche occidentali come BlackRock and Emergent Asset Management e Henriques. "Nel 2025 la popolazione africana raddoppierà, e per quanto scarsi possano essere, comunque raddoppieranno anche i consumi", spiega Onorati: "L’Africa sarà nei prossimi vent’anni il più promettente mercato alimentare del mondo".
Ad accorgersi delle opportunità sono anche le élite locali - da quelle brasiliane a quelle malesi - che, alleandosi magari con una controparte straniera, approfittano della loro posizione sociale per fare lauti guadagni. Un caso interessante è quello di una società d’investimento americana che attraverso la collegata Jarch Management ha ottenuto l’affitto di 400 mila ettari di terra nel sud del Sudan. Per farlo ha comprato una partecipazione del 70 per cento in una società sudanese controllata dal figlio di un generale dell’esercito che, a sua volta, aveva ottenuto le terre dal governo.
Non è solo la sicurezza alimentare a spingere verso la progressiva concentrazione della proprietà terriera. Tra le altre cause c’è anche l’utilizzo in costante aumento dei biocarburanti che permettono alle multinazionali di rasare al suolo le foreste di mezzo mondo per fare spazio a estensioni infinite di palmeti: 12 milioni di ettari soltanto in Malesia e Indonesia. E, infine, le logiche di un’economia globale che relegano ai margini i piccoli produttori che non hanno le infrastrutture e le conoscenze per sviluppare un’agricoltura su vasta scala. La stessa Banca mondiale ha assunto nel suo ultimo rapporto un atteggiamento ambivalente verso il fenomeno: da una parte segnala la sua preoccupazione per il fenomeno, ma dall’altra appoggia gli investitori pubblici e privati in nome di un migliore utilizzo dei territori. "L’estrema concentrazione delle terre è una delle principali minacce di questi anni", spiega Onorati. E nessun paese ne è immune. "In Italia il 3 per cento dei proprietari terrieri detiene il 48 per cento delle terre, una percentuale simile a quella messicana", aggiunge: "Proprio tra il 2000 e il 2007 l’Italia ha perso oltre il 30 per cento delle sue aziende agricole, tutte al di sotto dei 30 ettari".