Michele Brambilla, La Stampa 15/10/2010, pagina 8, 15 ottobre 2010
Maroni, il ministro più apprezzato ma mai troppo amato dalla Lega - Dei tre ministri della Lega – Bossi, Calderoli e Maroni – quest’ultimo è sicuramente quello che gode di più buona stampa
Maroni, il ministro più apprezzato ma mai troppo amato dalla Lega - Dei tre ministri della Lega – Bossi, Calderoli e Maroni – quest’ultimo è sicuramente quello che gode di più buona stampa. Anche coloro che accusano i leghisti di barbarie e di razzismo Maroni lo rispettano, lo considerano un uomo più delle istituzioni che del partito. Gli riconoscono serietà, efficienza, risultati. Dopo due anni e mezzo di governo, Maroni può addirittura esibire la medaglia politicamente corretta che gli ha appuntato sul petto nientemeno che Roberto Saviano: «Sul fronte antimafia è uno dei migliori ministri dell’Interno di sempre». Cinquantacinque anni, varesino, sposato e padre di due figli, Roberto Maroni piace pure alla sinistra. Forse anche perché le sue origini vengono da lì. «Negli anni Settanta», ha raccontato una volta, «il mio look era eskimo, cappelli ricci foltissimi e barba da Socrate». Un po’ di quel look fricchettone non l’ha mai abbandonato. Se lo porta addosso ad esempio quando suona il sassofono con i «Distretto 51» o quando va ai concerti. Nel 1994, appena diventato per la prima volta ministro dell’Interno, il settimanale del Corriere della Sera, Sette, pubblicò una foto che lo ritraeva impegnato con la sua band e il titolo era «Se questo è un ministro». Una considerazione che non doveva essere campata per aria, visto un episodio ricordato quest’anno dallo stesso Maroni: «A metà degli anni Novanta vado a Porretta Terme per un concerto di Wilson Pickett, un mio mito. L’organizzatore della serata mi presenta a Pickett nei camerini come ex ministro dell’Interno della Repubblica Italiana. Pickett, incredulo, mi scruta in jeans e maglietta e sbotta: Ma vaff…!». Ma la vita è strana e il popolo leghista a Maroni rimprovera, più che un passato di sinistra, un tradimento di destra. Fu alla fine del 1994, quando la Lega abbandonò Berlusconi. Maroni non ci stette. Voleva restare nel centrodestra. La sua posizione nel partito si fece pesantissima e nel febbraio del 1995, al congresso, «Bobo» fu accolto da fischi e richieste di dimissioni; molti lo ricordano ancora nascosto dietro il palco per la vergogna. Ma per Bossi le vecchie amicizie sono sacre. I due si erano conosciuti nel 1979 per caso – un passaggio in macchina – e il giovane sinistrorso Maroni restò folgorato dalla causa del Nord. Fra i leghisti è dunque uno degli antemarcia. Nel 1996 Bossi lo perdonò e lo ricandidò al parlamento. Però possiamo dirlo, anche se ci smentiranno? La base leghista quel tradimento non lo ha mai dimenticato davvero. Ancora oggi quando vai alle adunate padane senti che Maroni è stimato, applaudito, ma non amato: né come Bossi né come altri colonnelli. Per cui c’è il paradosso che Maroni è il forse il miglior ministro della Lega ma piace più ai non leghisti che ai leghisti. Dicevamo che gode di buona stampa. E’ che viene ritenuto più misurato, più moderato, più elegante di un Bossi o di un Calderoli, per non parlare di un Borghezio o di un Salvini. Non è che Maroni sia del tutto immune da uscite un po’ bizzarre. Quando ha detto che voleva prendere le impronte digitali ai bambini rom o che «in tutti questi anni c’è stata troppa tolleranza verso l’immigrazione», ad esempio, s’è attirato gli strali di mezza Italia e dell’Europa intera. Ma se lo accusano di razzismo non si preoccupa: «Ormai – ha detto in un’intervista dello scorso maggio a Vittorio Zincone – dopo i professionisti dell’antimafia di cui parlava Sciascia, sono spuntati i professionisti dell’anti-razzismo». Prima dei Mondiali ha quasi imitato il Trota precisando: «Io sono per i colori. Prima di tutto il rosso e il nero del Milan. Poi il verde della Nazionale padana». E all’auditorium Gaber di Milano si è improvvisato storico dell’alimentazione: «Non so se è vera questa storia, a me l’ha detta Arrigo Petacco, prendetela con il beneficio d’inventario ma sembra che la mozzarella campana l’hanno portata giù a Napoli i longobardi». Però insomma, a certi livelli non scende mai. Non ha mai dato dei porci ai romani, non ha mai detto di usare il tricolore come carta igienica, non ha mai annunciato battaglioni pronti a imbracciare il fucile. Misurato è, e misurati pretende siano gli altri con lui. Quando Crozza a Ballarò ha detto: «Vedo Maroni e Belpietro in studio: ma non doveva essere una puntata sul meglio dell’Italia?», lui non l’ha presa sul ridere: «Insulto del tutto gratuito, meschino». A metà del suo mandato, Maroni può comunque dire che agli annunci sono seguiti in buona parte i fatti. Il numero totale dei delitti, che era sensibilmente cresciuto fra il 2001 e il 2007, ha cominciato a scendere. Gli sbarchi degli immigrati clandestini sono diminuiti dell’88 per cento e il numero degli irregolari rintracciati in Italia e allontanati è aumentato. Quanto alla lotta alla criminalità organizzata, è forse il fiore all’occhiello di questo ministero. Il numero di super latitanti arrestati è triplicato nel 2009 rispetto al 2008; nello stesso periodo, i beni confiscati ai mafiosi sono cresciuti del 50 per cento. Ecco perché l’omaggio di Saviano e, più in generale, l’apprezzamento trasversale per il lavoro di Maroni, non sono immotivati.