Bruno Tinti, il Fatto Quotidiano 15/10/2010, 15 ottobre 2010
CINQUANTA EURO A VOTO
Tre settimane fa Giustizia e libertà mi ha invitato a Lucera per parlare di legalità e di Costituzione. Io vado sempre quando mi invitano, anche se la prospettiva è di parlare a 10 persone (è capitato). Ma è andata bene, la sala teneva 100 posti e c’era molta gente in piedi. Forse qualcuno ha appreso qualcosa che ignorava; tra questi certamente io. Perché, prima dell’incontro, siamo andati a prendere un caffè. I 3 rappresentanti locali di Giustizia e libertà, Antonio, consigliere comunale eletto in una lista indipendente, e io. E abbiamo chiacchierato. Mi hanno spiegato che lì, a Lucera e in tutto il profondo Sud, i voti si comprano. “Ma va? - ho detto - lo so già: promesse di variazioni del piano regolatore, di appalti etc.”. “Ma no - mi hanno detto - è molto più miserabile. Qui un voto costa 50 euro. In piazza, nelle vie del centro, c’è sempre una massa di giovani: disoccupati, privi di interesse, depressi. Il candidato li avvicina uno per uno (bisogna andare presto, come quando si va a pesca, perché se no ti precedono) e offre 50 euro a chi lo vota; la prova è una fotografia della scheda fatta con il cellulare”. “Ma non si può portare il cellulare in cabina!”. Si sono messi a ridere. “Poi - mi hanno detto - ci sono altri mezzi. Per ogni elezione c’è un numero spropositato di rappresentanti di lista, 100 euro l’uno. Io ti nomino e ti pago però tu voti per me. E poi ci sono gli scrutatori. Sono nominati dalla Commissione elettorale con il sistema proporzionale, ogni candidato ha diritto a un certo numero di nomine. 500, 600 euro, mica male per un disoccupato. Io ti faccio nominare ma tu mi voti. Alla fine - mi hanno detto - a Lucera, per farsi eleggere servono da 200 a 300 voti, con 15.000 euro te la cavi”. Il sistema naturalmente vale anche per le elezioni di grado superiore: provinciali, regionali, politiche. Solo che lì si va a pacchetti. Il candidato arriva con una valigia piena di soldi, si rivolge al politico locale che gli passa i suoi elettori: naturalmente bisogna pagarli. Un’elezione regionale costa 50.000, 60.000 euro. “Ma lo sai che comprano i voti dei Rom? Un campo nomadi costa 4.000 o 5000 euro”. E tutto questo, hanno concluso, è trasversale: tutti agiscono così. “Ma non li potete denunciare?”, ho chiesto io. E mi sono beccato la mia lezione di diritto. “Sì, ci abbiamo pensato; abbiamo anche parlato con qualche avvocato. Metti che li becchiamo in flagranza: facciamo intervenire i Carabinieri mentre il candidato dà al ragazzotto 50 euro. Vergogna, voto di scambio!. Ma che dici, gli ho chiesto di comprarmi le sigarette”. L’ho tradotto in giuridichese: il fatto non sussiste (oppure, secondo altra giurisprudenza, il fatto non costituisce reato). “Servirebbero un po’ di pentiti”, ho detto. Sì come no, a Lucera e dintorni. Il disoccupato che denuncia il candidato che, oltre ai soldi, gli ha promesso un lavoro. Perché di promesse così, prima delle elezioni, ce n’è una nuvola; poi, come ha detto Antonio, cambiano la sim del cellulare. Non è che, alla fine, fossi molto in forma. Antonio mi ha letto nel pensiero. “Ma tu ci pensi - mi ha detto - che a piazza Tien an Men sono morti per avere un diritto che qui si vende a 50 euro”.