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 2010  ottobre 15 Venerdì calendario

KOSOVO, TRA CRIMINE E MAFIE CRESCE LA RABBIA SERBA

Èla stagione del fango in Kosovo – ne ha solo un’altra, quella della polvere – ed è facile allegoria per un Paese impantanato che a undici anni dalla sconfitta serba, a oltre due dalla sua indipendenza, fa fatica a diventare Stato. Nel nord – la zone di Mitrovica – 45 mila Serbi sono ancora asserragliati in una difesa a oltranza dell’ultima Striscia di un territorio che considerano come la loro Gerusalemme, custode della loro spiritualità e delle loro icone. È una dura “frontiera” etnica dove si entra con fatica, spesso teatro di scontri tra serbi e albanesi kosovari. È l’ultimo punto caldo che potrebbe riaccendere il conflitto e qui esiste ancora la sorveglianza dell’Onu che si è ritirata da tutto il resto del Paese. Per i kosovari un anello mancante del loro nuovo Stato.
Ma più che il territorio sono la debolezza delle istituzioni, l’assenza di una struttura economica, la fragilità del diritto a rendere evanescente anche questo limbo meridionale dei Balcani. Il consiglio superiore della magistratura – che garantisce indipendenza – non riesce ad entrare in funzione e le strutture giudiziarie sono quasi deserte: mal pagati, minacciati, e poco stimati, quella del giudice non rappresenta una carriera appetibile.
Ce ne sono solo 269, dodici ogni centomila abitanti, e la maggioranza sono rimasti quasi inattivi nel 2009: la gente preferisce evitare l’incognita delle corti in un Paese sempre più dominato dalla corruzione e dal crimine organizzato. Scrivono gli analisti del International Crisis Group che pochi crimini vedono il colpevole in prigione: i testimoni non si presentono, le vittime hanno paura, le indagini sono spesso parziali e inconsistenti. Inoltre è quasi impossibile per i cittadini avere giustizia nelle cause civili. E così spesso si ricorre alla violenza. In Kosovo non esistono statistiche sul numero dei crimini commessi e sulle condanne eseguite. Corruzione e crimine organizzato sono due presenze talmente fondamentali che, scrive International Crisis Group: “è diffusa l’impressione che esso è guidato da una élite politica criminale che controlla tutti gli aspetti della società”. È difficile capire come la comunità internazionale che fino a due anni fa ha ispirato e guidato la
nascita di questo Paese, abbia permesso o ignorato sviluppi tanto disastrosi.
La giustizia
è solo una chimera
PER ARIANA Qosaj-Mustafa – che lavora in un istituto di ricerca – la stabilità politica è sempre stata la grande ossessione a cui la comunità internazionale ha sacrificato ognialtroaspetto.Arianasfogliavelocemente i suoi dossier e poi con eccitata indignazione indica un dato: quando l’Onu dal 2000 al 2008 amministravalagiustizia,sonostati risolti una media di un caso e mezzo all’anno. Un caso e mezzo. Evidentemente lo stato di diritto non era una priorità. E così, crimine organizzato e corruzione ha continuato ad espandersi e rafforzarsi. Oggi controlla – dicono le agenzie specializzate – il transito della droga dall’Afghanistan, gestisce il trafficodiprostituzioneinEuropa,traffica in armi. Il suo giro di affari è quasi superiore all’intero bilancio dello Stato. Pristina si è sviluppata come una città americana, disordinata, con centri commerciali che si inseguono lunghe le strade di periferia. Quando due anni fa il Paese divenne indipendente, sui muri della città si leggeva un grande cartellone: “Benvenuto McDonald’s”. Ma nemmeno il più sfruttato illusionista del benessere occidentale si è presentato all’appuntamento. Il capitale straniero si è tenuto lontano dal Kosovo e il Paese si è velocemente impoverito. Anche qui, come in altre parti dell’ex Jugoslavia, non si produce praticamente niente, una florida agricoltura si è spenta, la disoccupazione ha raggiunto la metà della popolazione. La mortalità infantile è la più alta d’Europa, le pensioni sono praticamente sparite: solo 80 euro per tutti, senza alcuna distinzione.
Ma come uscire da questa tenaglia, tra corruzione, crimine organizzato e povertà?
Non sarà facile, sostiene Ariana Qosaj-Mustafa, perché corruzione, incertezza economica e insicurezzadelfuturosistannodimostrando strumenti fondamentali per controllare tutti gli strati della popolazione. E il governo rimane inerte e passivo.
L’orgoglio etnico
nelle “riserve”
IN REALTÀ da quella striscia di terra al di là del fiume Ibar, dove ancora si vedono le bandiere serbe, l’orgoglio etnico ha le sue correzioni: è terra di frontiera, impoverita, dominate da milizie e con forte presenza di gangster, dove persino l’Unioneeuropeafafaticaadinviare i suoi poliziotti. Il corridoio naturale per le attività illegali delle bande albanesi. Una collaborazione – del resto già sperimentata durante la guerra – che tende a stabilizzare lo status quo, a rendere ancora più difficile una soluzione del problema. Unasoluzioneforsenonvoluta,forse lontana, ma auspicata fortemente almeno dalle fragili associazioni della società civile. Stanno appena emergendo e organizzandosi: guardanoallapossibilitàdinuoveelezioni(forsetra4mesi)ehannopostoal centro del loro programma la lotta allacorruzioneealcrimineorganizzato. Quindi il problema di Mitrovica, specie di “terra di nessuno” deve essere risolto. Molti sono usciti dai tranquilli uffici delle ong occidentali per fondare un nuovo partito politico che si chiama “Aria Fresca” e “si batte – spiega il fondatore Ilir Deda, master alla New School di New York – soprattutto per imporre finalmente il rispetto dello stato di diritto. La gente è stanca, impoverita, ha bisogno di noi e questa è forse l’ultima possibilità per uscire dal tunnel”. In due giorni ha raccolto un migliaio di firme, non sono molte, ma spesso gli idealisti e i coraggiosi riescono a vincere.