Nino Ciravegna, Il Sole 24 Ore 15/10/2010, 15 ottobre 2010
ARNOTTS E FOUR SEASONS: I GIOIELLI DI DUBLINO TRA I RIFIUTI FINANZIARI - A
Dublino è emergenza rifiuti. Non siamo a Napoli, l’immondizia non affoga le strade, la capitale irlandese è attrezzata da tempo con un articolato sistema di raccolta differenziata, ha un megaimpianto da 100mila tonnellate l’anno per recuperare carta, plastica e vetro, ha inventato un sistema di tassazione che incentiva chi divide i rifiuti e penalizza chi sversa in un unico bidone.
La vera emergenza sono i rifiuti finanziari, che finiscono in quella discarica senza raccolta differenziata che si chiama Nama, National asset management agency. Nella più affollata bad company europea finisce l’immondizia speculativa, truffe tossiche in primis, di chi non ha resistito a investimenti azzardati, con la pressante complicità delle banche. Una follia, una gigantesca bolla immobiliare sintetizzata nelle 90mila nuove costruzioni l’anno e dai tre milioni di licenze edilizie rilasciate in un decennio in un’isola con 4,5 milioni di abitanti.
Nella discarica finanziaria sono finiti impiegati, aspiranti speculatori, improvvisati agenti immobiliari, faccendieri e star, accomunati in una sorta di democratica situazione fallimentare. E l’ormai onnipresente Nama sta cambiando, a una velocità pazzesca, il panorama economico del paese. Ogni giorno quattro aziende presentano istanza di fallimento, il 25% in più rispetto al già terribile 2009, piccoli negozi e grandi catene finiscono nel vorace ventre di Nama.
Un nome su tutti: Arnotts, il più antico department store della città, fondato nel 1843, raccontato nell’Ulisse di James Joyce. Il tempio dello shopping irlandese, meta d’obbligo per il corredo delle signorine bene e dei turisti, è finito, malissimo. Apparentemente, nulla sembra cambiato in Henry street, sede principale del grande magazzino. I clienti sono attorniati, dai cartelli rosso fuoco "Home value event -50%". Mobili, tappeti, lampadari e divani a prezzi stracciati. Un tavolo in legno massiccio, very irish, da 2.475 euro lo svendono a 1.199; per un combinato, poltrone e sofà, Natuzzi, "solo pelle italiana" si risparmiano 800 euro; felpe e magliette Gap hanno il cartello -60% anche sulle nuove collezioni. L’ordine è tassativo: vendere. A qualsiasi prezzo. La nuova Arnotts ha bisogno di far girare i soldi, anche se i consumi dei beni voluttuari restano inchiodati sul -20%. Vendere tutto, subito.
La nuova Arnotts è finita nel calderone della Anglo Irish bank e dell’Ulster bank. Peggio non poteva andare: la Aib è saltata, la Ulster bank - controllata dalla Royal bank of Scotland, nazionalizzata dal governo inglese per evitare il default - l’anno scorso è riuscita a perdere la bellezza di 1,2 miliardi di euro. Un crash da manuale: Barrister Richard Nesbitt, presidente del gruppo, alla guida della famiglia che da oltre 150 anni controlla Arnotts, ha sbagliato una mossa dopo l’altra, in linea con la follia che ha travolto l’Irlanda. Nel 2003 si è fatto prestare dalle due banche una barca di milioni per reagire a un’Opa ostile sui suoi store. Nel 2006 si è lanciato nella grande speculazione immobiliare. Ha rastrellato una superficie enorme, calcolata in ettari, tra Henry street e O’Connel street, una delle zone più costose della città, per il super-progetto Northern quarter: 700 milioni di investimenti per costruire 47 negozi, 17 bar e ristoranti, 190 appartamenti di lusso e un albergo cinque stelle. Il piano finanziario prevedeva centinaia di milioni di guadagni immediati - nell’era pre-crisi bastava mettere un numero (alto) e tutti si convincevano - molti di più degli otto di utili che arrivavano dalle vendite retail di casalinghi e articoli di moda. Mister Barrister Richard nel 2007 ha rifiutato 200 milioni dalla famiglia O’Connor (socia di minoranza dal 1940, contraria alla speculazione immobiliare) per cedere il controllo di Arnotts. E si è fatto prestare altri milioni su sollecitazione del faccendiere Derek Quinlan (ora rifugiato in Svizzera dopo aver scaricato in Nama 600 milioni di rifiuti tossici) per liquidare gli scomodi soci. E altri milioni ancora per finanziare un ambizioso programma di nuovi store all’estero.
Niente e nessuno poteva fermare la corsa, poi le cose sono andate come si sa, le quotazioni di terreni e immobili sono crollate, le banche hanno chiesto di rientrare dei prestiti saliti a 300 milioni (165 in conto alla Anglo Irish bank, 135 alla Ulster bank). Ad agosto l’epilogo: per la cifra simbolica di un euro la catena distributiva è finita nelle mani delle due banche. E, di conseguenza, nella discarica Nama, con la gestione affidata alla Palladin capital di Boston, specializzata nella ristrutturazione di catene retail.
Nella discarica finanziaria rischia di finire anche il Four Seasons hotel. I proprietari hanno alzato bandiera bianca mettendo in vendita i sette piani che grondano lusso, protetti da pesanti cancellate e un’architettura che ricorda antichi manieri. Il Four Seasons è in una zona semicentrale, a un paio di isolati dalla grande ambasciata degli Stati Uniti: 245 euro una camera deluxe, 495 una suite executive (colazione esclusa) mentre la suite premium richiede 1.850 euro a notte, sempre breakfast a parte, cui devi aggiungere un supplemento per la rete wifi. Ma evidentemente 1.850 euro per notti da sogno non sono riusciti a garantire adeguate redditività.
Il Four Seasons è stato inaugurato nel 2001, con quasi due anni di ritardo e costi dilatati in corso d’opera. E non ha portato fortuna ai costruttori, finiti in amministrazione controllata. La proprietà è passata al Partnership Nollaig, un’allegra compagnia che ha rilevato la struttura con un megaprestito dell’ora famigerata Anglo Irish bank. Cinquanta milioni che negli anni sono saliti a 86 milioni. Non è stato difficile per i soci Nollaig - "dicembre", in celtico - trovare il prestito: tra i 18 soci - con il solito Derek Quinlan - figura anche l’ex presidente della banca anglo-irlandese, Dermot Gleeson. E altri nomi eccellenti, specchietti per le allodole esibiti dal faccendiere Quinlan, come l’ex giudice della Corte suprema, Fidelma Macken e il presidente del Dublin docklands development authority, Lar Badshaw.
Poi la crisi ha tagliato l’arrivo di turisti in Irlanda: dagli otto milioni del 2007 si è scesi ai 6,9 del 2009, con un crollo di 700 milioni delle entrate turistiche. In questi due anni sono mancati soprattutto i ricchi clienti d’affari, 300mila in meno, gli americani sembrano svaniti nel nulla. Un disastro per gli albergatori, un dramma per il Four Seasons che l’anno scorso ha perso due milioni, quest’anno ne perderà altrettanti se non di più, nonostante un taglio dei costi di quasi tre milioni. Da qui l’estrema scelta: svendere l’immobile, anche perché i soci hanno urgente bisogno di fare cassa, tappare altre falle. Il prezzo? Troppo presto per dirlo, ma secondo gli operatori la cifra di realizzo (ammesso che qualcuno sia interessato all’affare) non riuscirà a coprire il buco con l’Aib.
L’albergo non chiuderà perché la gestione è affidata, con contratto di lungo periodo, alla catena presente in tutto il mondo (Milano compresa), ma l’imponente palazzo potrebbe finire nella discarica finanziaria, in mezzo a piccoli appartamenti di periferia e sogni di futuro benestante. Una nazionalizzazione del lusso. Gli albergatori temono effetti devastanti sul settore. La ricetta Nama sembra obbligata: abbassare i prezzi pur di incrementare il business. Costringendo gli hotel che hanno resistito ad adeguarsi, con buona pace della redditività. Un paradosso, ma niente sembra normale in questa fase post-crisi.