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 2010  ottobre 15 Venerdì calendario

SALVAGENTE ASIATICO PER LA MODA — I

big italiani della moda? Ovviamente soffrono anche loro la crisi globale e gli utili ne risentono. Però i grandi marchi del «made in Italy» tengono nelle vendite grazie anche a un’affermazione sempre più marcata nei mercati asiatici, non perdono occupati, si confermano forti nei patrimoni. R&S-Mediobanca ha analizzato i bilanci 2009 di sette fra i principali gruppi della moda italiana, Prada, Armani, Diesel, Max Mara, Zegna, Tod’s e Ferragamo, e dai dati si ricava che i big si confermano «pilastri» di un settore vitale per l’economia del nostro Paese. Con modelli produttivi e strategie spesso però differenti.
Partiamo dalle vendite. Il 2009, anno che ha visto gli effetti della crisi finanziaria riversarsi sull’economia reale, per l’industria italiana è stato difficile: il fatturato è calato di circa il 20%. Ma per i big della moda è sceso decisamente meno: «solo» del 5,9%. Certo, con alcune differenze anche marcate: Ferragamo ha «perso» il 10% dei ricavi, Tod’s ha comunque aumentato leggermente le vendite dello 0,8%. Il vero punto di forza (e anche il salvagente) dei nostri marchi è stata l’Asia: mentre in Europa e Nord America le vendite sono diminuite rispettivamente dell’11 e del 9% circa, in Asia sono cresciute dell’8,9% e, sempre in termini aggregati per i sette big considerati, rappresentano ormai il doppio di quelle americane e la metà delle europee (Italia compresa). Il gruppo che ha conquistato più terreno è stato Prada con una crescita nel 2009 in Asia del 18,4%.
Se le vendite hanno tenuto, lo stesso non si può dire in modo generalizzato per i margini: il risultato netto aggregato dei sette big è sceso del 28,2%. Ma anche qui le differenze sono sensibili. Mentre Della Valle e Prada aumentano gli utili (del 3,5% e dell’1,1%), Ferragamo chiude in perdita, il risultato di Zegna scende del 70%, quello di Armani del 30%.
I dipendenti restano più o meno invariati. Ma a ben guardare le situazioni occupazionali sono differenti fra loro in relazione alle scelte produttive. Così, Prada ha 16 stabilimenti, 14 dei quali in Italia e due in Gran Bretagna. Della Valle ha quattro stabilimenti domestici e due all’estero e fa ampio ricorso a laboratori esterni specializzati, localizzati in prevalenza nelle Marche e a Firenze. Ferragamo ha uno stabilimento per i «prototipi» mentre il resto è affidato a laboratori esterni in Italia. Max Mara concentra la produzione a Reggio Emilia e Cremona. Zegna produce con 9 stabilimenti in Italia e sei all’estero, localizzati fra Cina, Turchia e Messico. Il 75% della produzione di Armani invece è realizzata su licenza da società che non appartengono al gruppo e i dipendenti sono soprattutto commerciali. Modello proposto in modo ancora più marcato da Rosso-Diesel, che non dispone di siti produttivi, affida tutto a laboratori in Italia e all’estero, e dei suoi circa 5.400 dipendenti 500 sono operai mentre 4.500 sono impiegati e commerciali. Insomma, si va dalla fabbrica con laboratori-satellite al modello «no factory», sostanzialmente di servizi.
I big infine sono in genere fortemente patrimonializzati. Il rapporto fra capitale netto e debiti è pari a oltre 5 volte per Max Mara, a oltre 4 per Tod’s, a 3 per Armani e in media è pari a 2,6 volte. Gli imprenditori controllano i gr uppi i n modo totalitario (con poche eccezioni: in Prada Intesa ha il 5,11%), non vanno in Borsa (tranne Tod’s) ma alla solidità ci tengono: i Maramotti (Max Mara) non si assegnano dividendi dal 1996. Armani negli ultimi anni li ha ridotti fino ad azzerarli nel 2009, Rosso-Diesel non «preleva» dal 2007.
Sergio Bocconi

ZEGNA: 797 milioni di fatturato, 18 milioni di utile
TOD’S: 713 milioni di vendite, 86 milioni di profitto
FERRAGAMO: 612 milioni di ricavi, «rosso» di 14 milioni
ARMANI: 1518 milioni di fatturato, 89 milioni di utile
MAX MARA: 1166 milioni di vendite, 55 di utile netto
DIESEL: 1255 milioni di fatturato, 46 milioni di utile
PRADA: 1561 milioni di ricavi, 100 di risultato netto