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 2010  ottobre 15 Venerdì calendario

DALLE PENSIONI ALLA MINIERA, IL MODELLO CILENO —

Questa faccenda l’abbiamo risolta «alla cilena», ha detto infine il presidente Sebastian Piñera. Da queste parti non è una espressione ironica, evidentemente. Certo, la sua presenza continua a fianco del celebre cunicolo, con il casco in testa e aspettando ad uno ad uno i 33 minatori, è apparsa eccessiva, populista e persino stucchevole. Ma a Piñera restano oggi buoni motivi affinché «cileno» sia sinonimo di efficienza, buonsenso, impegno e unità. Come il piccolo Paese sudamericano sta mostrando al mondo da parecchi anni, nelle difficoltà e nella gestione del quotidiano, in economia come nell’etica. Il Cile è stato di parola, ha aggiunto Piñera. Lo può dire anche di sé stesso. Miliardario e imprenditore, gravato da un conflitto di interessi alla vigilia delle elezioni, ha venduto in pochi mesi la sua linea aerea e il network tv, proprio come aveva promesso nei comizi.
L’operazione perfetta, che ha stupito Barack Obama e i cervelli della Nasa chiamati come consulenti alla miniera San José, e infine commosso il Papa, ha avuto alle spalle un Paese compatto, un governo efficiente e una opposizione rispettosa. Sono stati usati molto denaro pubblico (si parla di 10-20 milioni di dollari) e tecnologie proprie dell’industria mineraria: è la cultura secolare del rame, il quale — diceva Salvador Allende — sta al Cile come il sangue al corpo umano. E occorre proprio partire dal leader socialista caduto nel golpe del 1973, e passare attraverso gli anni brutali della dittatura di Pinochet, per comprendere il Cile odierno. Il quale è prodotto di cambi radicali seguiti da momenti di continuità, il tutto riassorbito guardando avanti.
È l’unico Paese del Sudamerica a far parte dell’Ocse, la serie A dell’economia mondiale. Nell’emisfero australe è in compagnia appena di Australia e Nuova Zelanda. Il suo Pil ha appena superato quello del Portogallo. Nel corso di questo decennio, il Cile si lascerà alle spalle la definizione di Paese in via di sviluppo: per farlo deve continuare a ridurre le diseguaglianze sociali, non ancora al livello degli standard europei. La miseria estrema è già stata sradicata. Il rame, di cui è primo produttore al mondo, non è esattamente un dono della natura. Questa regione del deserto di Atacama è stata infatti sottratta alla Bolivia, nella guerra del Pacifico, fine ’800. Ma gli altri prodotti cileni di successo sono conseguenza di riforme intelligenti, stimolo agli investimenti e apertura dei mercati. Pensiamo a vino, frutta e salmone, presenze fisse sulle tavole dell’emisfero Nord, grazie alle massicce esportazioni iniziate a partire dagli anni Ottanta. Tra i molti brevetti nell’industria estrattiva troverà un posto simbolico anche l’operazione San Lorenzo. Il salvataggio dei minatori ha sviluppato una tecnica che potrà essere utilizzata in emergenze simili, in altri luoghi del mondo.
Fino all’elezione di Piñera, lo scorso dicembre, il Cile è stato governato per un ventennio da una coalizione di centrosinistra e ha goduto di una crescita economica praticamente costante, tra il 6 e l’8 per cento all’anno. Nessuno ormai nega che le precedenti riforme liberiste di Pinochet hanno una parte dei merito. I governi democratici non le hanno cancellate, ma appena mitigate. Risale alla dittatura la famosa riforma delle pensioni, per esempio, poi copiata in tutto il mondo. Fu lanciata come solo si poteva fare con i generali al governo, senza discussioni e trattative con i lavoratori, ma è ancora lì. L’architetto di quel sistema si chiama José Piñera, ed è il fratello maggiore dell’ attuale presidente. La coincidenza non ha fatto gridare allo scandalo nell’ultima campagna elettorale. Il candidato del centrodestra ha potuto dimostrare di non aver nulla a che fare con il passato, e gli elettori gli hanno creduto.
I cileni amano la politica e le discussioni, e il loro spirito critico non si farà offuscare dalla grande festa patriottica di queste ore. Vogliono che siano accertate le responsabilità dei proprietari della famosa miniera, e qualcuno si domanda se i 33 non potevano essere salvati prima, e con costi minori. Chiedono al governo che si verifichino gli standard di sicurezza in tutte le miniere del Paese e i diritti dei lavoratori. Come fecero all’indomani del devastante terremoto dello scorso febbraio. Mentre il mondo si stupiva di come un terremoto 8,8 Richter avesse provocato appena 500 morti, in Cile scoppiarono le polemiche sul ritardo e le colpe delle autorità nell’allerta tsunami. Il fatto che quasi nessuna abitazione costruita negli ultimi 20-30 anni abbia ceduto a una scossa così devastante venne invece dato per scontato. Perché questo è un Paese dove in genere le leggi si rispettano e i terremoti del passato sono serviti a qualcosa. Anno indimenticabile questo 2010 per il Cile. Avrebbe dovuto soltanto essere ricordato per i 200 anni dell’indipendenza, una festa da calendario. Invece ha avuto un cambio radicale in politica, un sisma devastante e adesso la saga dei minatori. In un modo e nell’altro, tutto gestito bene. Alla cilena, appunto.
Rocco Cotroneo