Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 14/10/2010, 14 ottobre 2010
IL VIETNAM E L’ IRAQ CONFRONTO TRA DUE GUERRE
Il presidente Obama pare abbia detto: ce ne andiamo dall’ Iraq, ma non è una vittoria. Il ricordo del ritiro degli americani dal Vietnam torna spontaneo. E ricordo che l’ opinione pubblica degli Stati Uniti aveva reagito con veemenza all’ intervento armato. Per l’ Iraq non è accaduto. Pur tenendo conto delle diversità fra i due conflitti, non sono apparse opposizioni così sentite. L’ intervento è stato, si direbbe, accettato. Oppure subìto? O condiviso? Oppure c’ è stato soltanto un cambio generazionale? E anche la conclusione e il ritiro attuali pare lascino indifferenza generale. La guerra in Vietnam causò grave danno alla reputazione degli Stati Uniti, mentre penso che l’ intervento in Iraq non lascerà traccia alcuna, non solo in senso pratico (la conseguente emigrazione dal Vietnam verso gli Usa), ma nemmeno in senso morale (l’ «onta» del Vietnam). Lei analizza le due guerre diversamente?
Silvia Delaj
sdelaj@virgilio.it
Cara Signora, il confronto tra le due guerre viene spontaneo e le analogie diverranno materia di molte analisi. Ma le differenze non sono meno importanti. In primo luogo l’ impegno militare americano in Vietnam fu molto graduale e non suscitò agli inizi diffuse manifestazioni di dissenso. Verso la metà degli anni Sessanta una parte considerevole dell’ opinione pubblica americana pensava che un Vietnam interamente comunista avrebbe provocato quello che il generale Eisenhower, qualche anno prima, aveva chiamato l’ «effetto domino» e minacciato seriamente la sicurezza degli Stati Uniti in Asia. La protesta cominciò soprattutto nei college universitari e fu prevalentemente giovanile perché esisteva ancora negli Stati Uniti il servizio militare obbligatorio, retaggio della Seconda guerra mondiale. Gli studenti cominciarono a scendere in piazza quando capirono che la cosa sarebbe andata per le lunghe e che anch’ essi, prima o dopo, avrebbero ricevuto la cartolina-precetto. L’ invasione dell’ Iraq, invece, avvenne in condizioni alquanto diverse. La maggioranza del Paese, dopo lo shock dell’ 11 settembre, era entusiasticamente favorevole e gli americani sapevano che il corpo di spedizione, grazie alla revoca della leva obbligatoria, sarebbe stato composto da volontari e professionisti. I malumori cominciarono a manifestarsi quando fu chiaro che i successi militari erano stati insufficienti ed effimeri. Ma la differenza tra il numero dei soldati morti (50.000 in Vietnam, 3.500 in Iraq) ha avuto l’ effetto di rendere il dissenso, tutto sommato, limitato e controllabile. Vi sono differenze importanti anche nel modo in cui gli Stati Uniti sono usciti dai due conflitti. Nel caso del Vietnam gli accordi di pace dettero di fatto ai vietcong la possibilità di completare la conquista del Sud; e la partenza degli americani da Saigon divenne nel giro di pochi giorni una fuga. Nel caso dell’ Iraq invece il ritiro del contingente americano sembra destinato ad avvenire in buon ordine, senza rischi immediati. Anche gli effetti delle due guerre sullo status dell’ America nel mondo potrebbero essere differenti, ma paradossalmente in senso opposto. Dopo il Vietnam, gli Stati Uniti continuarono a essere il bastione dell’ Occidente contro l’ Unione Sovietica e un fattore di stabilità per le regioni in cui erano direttamente impegnati. Dopo l’ Iraq, dove la situazione rimarrà lungamente precaria, gli Stati Uniti saranno molto meno convincenti, autorevoli e credibili di quanto siano stati negli anni della Guerra fredda e nell’ ultimo decennio del secolo.
Sergio Romano