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 2010  ottobre 14 Giovedì calendario

ITALIANI, INDICATE ALL’EUROPA UN NUOVO RINASCIMENTO - L’

amore di Marc Fumaroli per l’ Italia è profondo, tanto che il grande intellettuale francese non esita a investire il nostro Paese della responsabilità di un nuovo Rinascimento europeo: «Considerati il passato e l’ immensità del suo patrimonio, sarebbe normale che fosse l’ Italia oggi a mostrare al resto dell’ Europa la via per uscire dalle sabbie mobili della cultura di massa. In fondo l’ ha già fatto altre volte in passato: risollevarsi, rinascere dopo i periodi di declino. Un declino che oggi riguarda tutti gli europei». Al critico e storico 78enne, accademico di Francia e professore al Collège de France, spetta il compito di parlare domani a Milano della percezione della nostra cultura al di fuori dei confini nazionali, nel primo convegno «Idee italiane. Un osservatorio sulla cultura del Paese». Nella sua accogliente ed elegante dimora parigina, Fumaroli non può che cominciare da una dichiarazione d’ amore verso l’ Italia: «Non credo esista un altro Paese che benefici di tanta simpatia nel mondo. Immagino dipenda dal fatto che l’ Italia è sempre stata produttrice di gioia e bellezza, ha dato all’ Europa i suoi splendidi autori, pittori, scultori, architetti, attori, cantanti, musicisti, nel secolo dei Lumi. Nel secondo e tristissimo Novecento, ci ha dato De Sica e Rossellini, e ci ha offerto il loro sguardo lucido e allo stesso tempo ironico sulla vita. Ci ha consolato dall’ espressionismo tedesco. Da voi, non c’ è mai stato disprezzo del mondo, ma un invito a gustarlo ancora, anche quando tutto sembra perduto e desolato. Nell’ arte cosiddetta contemporanea, che io non amo particolarmente, si salva il francescanesimo dell’ arte povera italiana. Quando scoprivo la letteratura, uno dei miei eroi fu Cesare Pavese, e poi ho scoperto Mario Praz, poi Roberto Calasso, Giorgio Manganelli, poi Pietro Citati...». Fumaroli prende un libro dal tavolino davanti al divano, Il mio museo immaginario, o i capolavori della pittura italiana, di Paul Veyne, collega al Collège de France: «Prendiamo questo stupendo volume che mi è appena arrivato. Per l’ ateo e pagano Veyne, la pittura cristiana italiana continua Pompei, e celebra, come nessun’ altra, tutti gli aspetti della bellezza del mondo.. Bene. Ma le opere e i nomi menzionati, tranne quelli di Calasso e Citati, si riferiscono al passato. Come il neorealismo del dopoguerra... «Roberto Benigni è qualcosa, no? Comunque la caduta del senso della qualità è evidente dappertutto, non nella sola Italia. Dipende dal fatto che la cultura generale, sia del pubblico, sia degli autori, è notevolmente diminuita, in tutto l’ Occidente. Il patrimonio artistico italiano non occupa il rango che gli spetta, non è capito come una forza spirituale per l’ oggi... Avrebbe il potere di educare, di rendere distaccati dalla cultura pop molti cittadini europei. Nel nostro mondo servono dei luoghi dove riposarsi, raccogliersi, volgere lo sguardo verso orizzonti che siano diversi da quelli proposti dal gran commercio culturale e dalla programmazione mediatica. In Italia il problema è stato posto bene da Salvatore Settis, ma non c’ è stata ancora una risposta adeguata. Non ho niente contro la moda globale, ma se solo ci fossero luoghi che si sottraggono alle sue leggi, si vivrebbe più liberi ed anche meno infelici». C’ è qualche esempio positivo? Da dove si potrebbe cominciare? «La politica romana dei piccoli musei, che non richiedono lunghi soggiorni, ma offrono visite molto intense, mi pare un’ ottima idea. Il palazzo Altemps, il restauro di Villa Borghese, di Palazzo Braschi... Altrettante stazioni non di turismo, ma di pellegrinaggio urbano.. E poi c’ è l’ utilizzo delle tecniche digitali. Usate da persone colte, le nuove tecnologie sono uno strumento meraviglioso di contemplazione. Ho visto una splendida mostra fotografica del Battistero di Firenze, era come esaminare i bassorilievi con la lente». Marc Fumaroli proprio non riesce a mandar giù la commistione post-moderna tra «cultura alta» e «cultura bassa», dove tutto alla fine viene inglobato dal «pop» di matrice americana. «L’ Europa, magari a cominciare dall’ Italia, potrebbe riprendere coscienza della sua identità, senza lasciarsi americanizzare di più». Ma non crede che i capolavori contemporanei, nel cinema e nella letteratura, vengano proprio dall’ America? «Altman, Philip Roth?...», sorride Fumaroli; «Loro sono d’ accordo con me! È un fatto che la cultura di massa sia innanzitutto un prodotto americano o all’ americana.. L’ Europa aveva la tradizione di numerose culture popolari. Artigianali e genuine tanto quanto la cultura di massa è industriale e prefabbricata. La cultura popolare riposa su un’ adesione spontanea del suo pubblico; la cultura di massa utilizza il bombardamento pubblicitario, dalla nascita alla morte, per imporsi. L’ Europa aveva le sue canzoni, e non piccoli selvaggi che montano in scena urlando fino a rischiare di rompersi la vena della tempia, prendendosi per Dioniso o Rimbaud. La pretesa dei Rolling Stones di essere geni fino a cent’ anni non mi pare nella tradizione di Rimbaud». Cercare e trovare contrappesi alle mode, al consumismo para-culturale, al modello americano? Come realizzare un programma così ambizioso? «Usando bene i finanziamenti dei privati, senza lasciarsi travolgere dai marchi pubblicitari, e sotto la garanzia dello Stato». Ma non ha denunciato proprio lei, nel saggio Lo Stato culturale (Adelphi, 1991), l’ invadenza del governo? «Mai stato ostile all’ intervento dello Stato in questo campo, tutt’ altro. Ho solo denunciato che lo Stato francese, sotto il ministero di Jack Lang, allargava la sua responsabilità patrimoniale a rock, rap, graffiti e altri prodotti commerciali. Lo Stato deve a mio parere preoccuparsi della Comédie Française e di restaurare le cattedrali, invece di rincorrere l’ hip-hop ed simili pericolosi giocattoli. Si diffondono anche troppo bene da soli». Da grande scettico dei tic contemporanei, Marc Fumaroli riserva il suo ultimo divertito fastidio alla moda degli studi utilitaristici, dell’ «avvicinare il mondo della scuola al quotidiano». «Anche qui, il patrimonio italiano ci viene in aiuto. Nel 1708 Giambattista Vico pronunciò la celebre conferenza che ogni europeo dovrebbe conoscere a memoria, Sul metodo negli studi del nostro tempo. Dopo i successi della nuova scienza di Galileo e Cartesio, protestava Vico, ormai insegniamo ai bambini la matematica prima ancora della poesia e dell’ arte. Un errore allora, ma quanto più grave e diverso oggi. Chi si occupa ora di formare la sensibilità, l’ immaginazione, i sentimenti dei giovani? Più che la scuola, o la famiglia, spesso impotenti, temo che siano i videogiochi, la televisione, i reality show per iPod ed iPad. Strumenti in sé neutri, ma pericolosamente capaci di imprimere stereotipi invece di educare. Bisogna saperlo e reagire.
Stefano Montefiori