Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  ottobre 14 Giovedì calendario

DA NAPOLI A VERCELLI. I CANDIDATI-CONDANNATI CHE PORTAVANO VOTI

«Famme chello che vuò/ indifferentemente/ tanto o’ saccio che so’ / pe’ te nun so’ cchiù niente/...». Il pubblico andava in estasi mentre Mara Carfagna e Pietro Diodato intonavano Indifferentemente, una delle canzoni più struggenti del repertorio musicale partenopeo, dal palco del Teatro Metropolitano di Napoli, luogo prescelto per la chiusura in grande stile (e con sorpresa) della campagna elettorale del Pdl per le regionali. L’ euforia era palpabile. Il ticket composto dalla ministra e dal recordman delle preferenze alle precedenti elezioni si avviava a una schiacciante vittoria, nonostante il brivido iniziale. A Napoli era infatti circolata la voce di una probabile esclusione di Diodato dalle liste. Voce che provocò una clamorosa occupazione della sede campana del Pdl da parte dei suoi fan. Così, «indifferentemente», Diodato rientrò in lista. Avrebbe mai immaginato Mara Carfagna, la quale oltre alla faccia sui manifesti aveva messo anche la voce al servizio della causa, che lunedì scorso, appena sei mesi dopo quella festa in teatro, la Prefettura di Napoli avrebbe scritto alla Regione per ricordare che il consigliere, nel frattempo nominato anche presidente di Commissione, ha sulle spalle una condanna definitiva (con la condizionale) a un anno e mezzo per i disordini del 2001 nei seggi elettorali, ma soprattutto l’ interdizione per cinque anni dai pubblici uffici? Una bella rogna, per il Consiglio regionale, dal quale sono stati già sospesi altri due consiglieri del centrodestra. Il primo è l’ ex margheritino Roberto Conte, condannato in primo grado per concorso esterno in associazione camorristica, candidato in extremis per Alleanza di popolo (ed eletto), nonostante la tassativa opposizione del futuro governatore Stefano Caldoro: «Non voglio i suoi voti, e se risulteranno determinanti mi dimetterò». Il secondo è Alberico Gambino, del Pdl, condannato in appello con l’ accusa di peculato. Ha dichiarato appena eletto: «Per ora mi godo la vittoria». Insieme al 50% dell’ indennità (2.250 euro netti al mese), che per regolamento regionale spetta ai consiglieri sospesi dall’ incarico. Potevano pensarci prima, i responsabili politici? Magari è proprio quello che hanno fatto, a giudicare dalle parole di Angela Napoli, capogruppo di Futuro e libertà nell’ Antimafia, che ha stigmatizzato «la disinvoltura con la quale la politica forma le liste elettorali». Liste, aveva detto il presidente della commissione Beppe Pisanu, «gremite di persone che non sono certo degne di rappresentare nessuno». Ma che portano voti. Tanti voti, e su quelli nessuno ci sputa. Come aveva avuto modo di denunciare pubblicamente, già tre anni fa, il coordinatore campano di Forza Italia Fulvio Martusciello, parlando del «pressapochismo con cui vengono scelti i candidati, se è vero che nella zona a nord di Napoli la criminalità tentò di infilarsi all’ interno dei partiti». Se ne infischiano perfino del codice di autoregolamentazione dell’ Antimafia, che dovrebbe sbarrare la strada alle candidature di soggetti condannati. Figuriamoci quando non c’ è nemmeno la sentenza di un tribunale. Le amministrative calabresi, per esempio. Alle ultime regionali si è presentato Tommaso Signorelli, ex Pd passato ai Socialisti Uniti (lista che sosteneva il centrodestra), arrestato nel 2008 quando era assessore del comune di Amantea, sciolto per infiltrazioni della ’ ndrangheta. A niente è servita la dichiarazione di candidato «non gradito» formulata nei suoi confronti dal futuro presidente Giuseppe Scopelliti, il quale aveva minacciato: «Se necessario andrò personalmente ad Amantea per dire agli elettori di non votarlo». Dopo quella presa di posizione si è ritirato invece dalla corsa elettorale il candidato di Noi Sud Antonio La Rupa, figlio del consigliere regionale uscente Franco La Rupa, ex sindaco del paese calabrese e indagato nella medesima inchiesta. Un fenomeno, quello dei parenti in lista, così diffuso in alcune zone, come la Calabria, che la commissione antimafia di Pisanu ha chiesto alle prefetture di avere anche informazioni sui rapporti di parentela e le frequentazioni dei candidati. Sia ben chiaro: la decenza delle liste non è questione che si possa limitare alla zona grigia dei rapporti fra politica e criminalità organizzata. Ed è immaginabile che Pisanu non si riferisse soltanto a quell’ aspetto, quanto piuttosto all’ imbarbarimento generale che ha fatto saltare tutte le regole etiche, comprese quelle non scritte. Con il risultato che termini una volta sacri, come «opportunità», sono spariti dal vocabolario della politica. Due casi per tutti. Il presidente della Provincia di Vercelli Renzo Masoero era in piena campagna elettorale per le regionali quando l’ hanno arrestato per concussione, accusa per la quale avrebbe poi patteggiato una condanna a due anni. Né il rinvio a giudizio per la droga del festino a luci rosse che lo vide protagonista in un albergo romano nell’ estate del 2007 ha dissuaso l’ ex deputato dell’ Udc Cosimo Mele: che si è candidato in Puglia al fianco di Adriana Poli Bortone. Senza fare una piega.
Sergio Rizzo