Gaia Piccardi, Corriere della Sera 14/10/2010, 14 ottobre 2010
IVAN, IL TERRORE DEGLI STADI D’EUROPA CHE IMITA ARKAN E VIVE CON LA MAMMA
Levati la maglietta, gli ha ringhiato in faccia l’ agente in tenuta antisommossa alle 2.41 di un mercoledì mattina da cani, tirandolo fuori insieme a 600 bengala dal vano bagagli dell’ ultimo pullman rimasto nel piazzale di Marassi. Sul bicipite destro di Ivan il terribile, l’ uomo nero che per una sera ha tenuto in pugno uno stadio, in una geografia di disegni e didascalie sulla storia dell’ ultranazionalismo, la data che vale una confessione: 1389, battaglia della Piana dei Merli, serbi sconfitti dall’ esercito ottomano e per sempre innamorati della loro indipendenza. È finita così, a torso nudo nell’ aria spessa di Genova, improvvisamente disarmato di boria e di passamontagna, vestito solo di capi d’ imputazione (porto d’ armi e danneggiamento, ma con l’ aggravante del luogo pubblico in ambito sportivo) e tatuaggi, la mano destra contusa (guaribile in cinque giorni), la notte brava di Ivan Bogdanov detto Coi, 29 anni, licenza di scuola media, né moglie né figli né un lavoro, ospitato da mamma e papà nella casa di Belgrado, quattro precedenti con la giustizia serba (rissa, aggressione a pubblico ufficiale, comportamento violento e possesso di droga: 11,06 grammi di marijuana per uso personale), luogotenente del comandante Marko Vuckovic alla testa degli Ultrà Boys della Stella Rossa (frangia estremista e militante), professione teppista. Le sue prime parole dopo l’ arresto: «Ho un passato da militare in Serbia. Amo il mio Paese. Non ho niente contro l’ Italia ma ce l’ ho con la mia squadra». Il pesce grosso, per la polizia serba mai troppo severa con certi gruppi di tifo organizzato, non è lui. Ivan è il ragazzo di bottega cresciuto a sprangate ed espedienti, spesso usato dalla mafia per piccole rapine e operazioni di spaccio e racket, nelle orecchie l’ ideologia martellante antigay e contro l’ autonomia del Kosovo, nei polmoni il fumo dei baracci intorno al Marakana di Belgrado, lo stadio in cui ogni settimana si coagula la rabbia separatista nel nome di Dio, della patria e della famiglia (tensione già altissima per il derby Stella Rossa-Partizan di sabato 23 ottobre) mentre la Serbia lotta per accreditare economia, investimenti, sport e modernità sul mappamondo dell’ Europa. È Ivan, lo scorso maggio, a guidare l’ invasione dei tifosi serbi durante Pro Recco-Partizan, final four dell’ Eurolega di pallanuoto a Napoli: voce grossa, bandiere serbe al collo, uno striscione piazzato a bordo vasca. Il servizio d’ ordine interviene e il drappello si lascia disperdere senza opporre resistenza. Tanto rumore per nulla. Non è Ivan, ma forse gli sarebbe piaciuto, a infilare nella bocca di un poliziotto in borghese infiltrato in curva un fumogeno acceso durante una partita dell’ amatissima Stella Rossa, il covo delle tigri di Arkan: per la prima volta, in Serbia, tra manifestazioni di protesta davanti al tribunale e inni alla liberazione, un tifoso viene condannato a dieci anni di galera. C’ è anche Ivan, ma confuso nel gruppo, a minacciare pesantemente Brankica Stankovic, giornalista di B92, radio-simbolo di Belgrado, dopo che una seguitissima inchiesta sugli hooligans serbi mette online video di marmaglia in azione allo stadio, a volto scoperto. L’ Ivan di Genova martedì pomeriggio fa merenda in un ristorante del centro storico (pizza e caffè, «tranquillo ed educato» lo descrive il proprietario), poi tenta il salto di qualità. La Serbia non deve entrare nell’ Unione Europea e non deve partecipare ad Euro 2012, gli spiegano: la partita di qualificazione a Marassi non deve nemmeno cominciare. Il soldato Ivan esegue. Molto, nella sua sciagurata vita, è già cambiato. In suo onore è nata una pagina di Facebook cui hanno aderito oltre 1.400 persone, lasciando post come «grande Ivan, ogni tifoseria in Italia dovrebbe avere uno come te», «da solo hai messo in discussione le leggi dello Stato italiano e quelle di Maroni, sei il re di Marassi». Non gli sono contestate né la resistenza a pubblico ufficiale né le lesioni personali, perché non c’ è modo di collegare direttamente Bogdanov ai carabinieri feriti negli incidenti. L’ avvocato d’ ufficio, Alessandra Baudino, lo incontrerà questa mattina con un interprete di lingua serba. Ivan e i suoi tatuaggi aspettano il prossimo cross dell’ esistenza nel penitenziario di Pontedecimo, perché Marassi era pieno. Un carcere femminile per la tigre dal ruggito rauco. «Aggressivo? Macché, si comporta come un agnellino» filtra tra le sbarre. Sotto il passamontagna, niente.
Gaia Piccardi