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 2010  ottobre 14 Giovedì calendario

«ABBIAMO SCATENATO L’INFERNO PERCHE’ RIVOGLIAMO IL KOSOVO»

Cosa volevamo fare? Esattamente quello che è successo. Volevamo far saltare la partita». Non vuol dire il suo nome il ventiduenne serbo che si dichiara studente universitario di letteratura italiana, ma accetta di parlare mentre aspetta con una quarantina di suoi connazionali, fuori dalla questura di Genova, di ripartire per Belgrado. Alto, magro, jeans e scarpe di tela è uno dei 35 denunciati per i disordini allo stadio. Ma non è fra gli arrestati. «Siamo arrivati a Genova in pullman martedì sera, passando dall’ Austria». Sorride, se fossero entrati dalla Slovenia li avrebbero sicuramente controllati al confine. «Abbiamo comprato i razzi nei negozi di nautica vicino al porto. Ci hanno dato anche lo scontrino. Tutto regolare». Entrare allo stadio è stato uno scherzo: «La perquisizione faceva ridere: due pacche sul giubbotto. Avevamo nascosto i razzi sotto i giacconi e nei pantaloni. Abbiamo portato dentro quello che abbiamo voluto. Tra i duemila tifosi serbi eravamo solo 50 ultras della Stella Rossa, non 200. Se fossimo stati duecento i poliziotti italiani ce li mangiavamo, sono mingherlini. A Belgrado i poliziotti sono alti due metri e pesano centoventi chili. Li abbiamo affrontati la settimana scorsa, quando volevamo fermare il Gay pride. Quelli sì che ti massacrano». Prima di andare allo stadio Milos (lo chiameremo così) è salito con altri ultras sul pullman della squadra serba: «Abbiamo lanciato un fumogeno. Stojkovic, il portiere, non l’ abbiamo neanche toccato con un dito, gli abbiamo solo detto che è un traditore e un vigliacco. Tre anni fa era alla Stella Rossa, in un’ intervista aveva giurato che non sarebbe mai andato al Partizan, nemmeno per cento milioni, e invece l’ ha fatto. Ce l’ avevamo solo con lui, non con la squadra. Io ho parlato con Stankovic e gliel’ ho spiegato, prima di scendere dal pullman». Non è vero, dice Milos, che gli ultrà serbi volevano far pagare alla Nazionale la sconfitta contro l’ Estonia: «Questa ve la siete inventata voi. Noi volevamo far sapere al mondo che il governo serbo è una dittatura mascherata da democrazia, che non c’ è libertà. Era una occasione eccezionale per far saper a tutti cosa succede da noi. Non ci interessa l’ Europa, non vogliamo entrarci. A noi interessa riavere il Kosovo e invece non se ne parla più. La nostra è stata solo una manifestazione politica». Per questo, dice, abbiamo sparato razzi e lanciato bombe carta e devastato lo stadio: «Quella partita non si doveva giocare. Adesso il mondo sa che la Serbia vive in una condizione disperata. Di miseria».
Erika Dellacasa