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 2010  ottobre 15 Venerdì calendario

DAZI, UNA QUESTIONE DI LANA VETRINA


Sembra una storia degli Anni Settanta, quando i cortei del movimento studentesco protestavano in piazza contro «lo stato imperialista delle multinazionali». Il fatto è questo: a metà settembre l’Unione europea ha imposto «dazi temporanei» (così si chiamano in burocratese, ma in effetti una scadenza definita non ce l’hanno) su alcuni tipi di lana di vetro proveniente dalla Cina.

Non due centesimi: superdazi che arrivano in certi casi fino al 43% del prezzo praticato in precedenza e sono, in genere, superiori al 35%. Le motivazioni, tutte giuste, sono però quelle di sempre, e ruotano attorno al concetto di «social dumping», cioè di concorrenza sleale sui salari e i diritti sindacali, un argomento valido per tutta l’industria manifatturiera dei paesi emergenti che viene usato dall’Occidente solo quando fa comodo a chi ha in mano le leve decisionali.In questo caso, le leve ce l’hanno la Saint Gobain e la Pilkington, le due multinazionali del vetro, francese e inglese, che hanno interesse a intercettare direttamente o affidare solo a mani amiche tutto il mercato dei prodotti derivati dal vetro, così importanti oggi per le plastiche speciali, i manufatti in resina, tutti i prodotti intermedi fondamentali in edilizia, nell’industria automobilistica, nautica eccetera.Questi dazi sono stati approvati dalla commissione europea guidata da Josè Manuel Barroso con l’astensione dell’Italia, che equivale a un sì perché il voto d’astensione non fa maggioranza, mentre il veto blocca qualsiasi decisione. Un’astensione nata anche dalla grande tranquillità con cui Confindustria ha seguito la pratica, visto che al suo interno i produttori di materie plastiche elaborate contano poco, mentre Assovetro è guidata dal capo italiano della Saint Gobain.Qual è la forte controindicazione di questi dazi? Che le decine di migliaia di aziende europee e, si calcola, 30 mila soltanto in Italia, che acquistavano la lana di vetro cinese pagandola poco e la rielaboravano nelle loro resine, guadagnandoci, rischiano adesso di andare gambe all’aria. «Le misure antidumping avranno un impatto sociale negativo sull’occupazione e sulle piccole imprese, e l’industria europea dei materiali compositi è rappresentata principalmente da piccole e medie imprese», si legge in un documento dell’Associazione industriale europea dei produttori di materiali compositi (European Composites Industry Association – Eucia. «L’imposizione dei dazi sull’importazione di prodotti in fibra di vetro pregiudicherà la produttività e l’occupazione della manodopera in questo settore e nelle industrie collegate. E inciderà ulteriormente su un settore, quello dei materiali compositi, già duramente colpito dalla crisi. I risultati del primo Barometro dell’artigianato e delle piccole-medie imprese, diffuso nel marzo scorso dall’Ueapme (Unione europea artigianato e piccole e medie imprese) hanno evidenziato un numero elevato di chiusure di imprese nonché un’alta percentuale di bancarotte». Sul piano logico, è semmai sull’importazione di prodotti manufatti, ad alta incidenza del lavoro umano e dei relativi costi, che l’Ue dovrebbe alzare gli scudi: colpendo un settore a bassa intensità di manodopera come quello della produzione del vetro grezzo e dei suoi derivati, si è invece voluto semplicemente fare un favore alle due multinazionali. Fortunatamente i piccoli e medi imprenditori italiani, che tra una Confindustria dominata da quelli grandi e una Confapi piuttosto assente non sanno più a che santo votarsi, restano soggetti pieni di inventiva. E infatti, anche stavolta, i più svegli hanno già iniziato a comprare lana di vetro in Bahrein, dove affluisce quella prodotta nei Paesi del Golfo, a prezzi comparabili a quelli cinesi pre-dazi, e non attaccabili dall’Europa. Quando si dice l’arte di arrangiarsi.