RENATO CAPRILE, la Repubblica 14/10/2010, 14 ottobre 2010
SIAMO ENTRATI NEL RIFUGIO DEGLI ULTRÀ SERBI: PICCHIATORI PRONTI A METTERSI AL SERVIZIO DI CHI LI INGAGGIA. PER COLPIRE IL GOVERNO DI BELGRADO
«Giustizia per Uros». La scritta rosso sangue campeggia su gran parte dei muri di Belgrado. Chi è Uros, vi chiederete. Un politico d´opposizione, un anarchico, un intellettuale scomodo? Niente di tutto questo. Semplicemente un ultrà del tifo della Stella Rossa, responsabile di aver cavato un occhio a un poliziotto durante uno scontro al "Maracanà" di Belgrado. Per quella carognata Uros sì è beccato otto anni di galera. Ma, incredibile a dirsi, c´è chi chiede «giustizia» per uno come lui. Strano paese la Serbia. Il meglio e il peggio dell´intelligenza fanno a pugni in questo spicchio d´Europa. E il peggio purtroppo viene proprio dai supporter dello sport più popolare, il calcio. Che come una gigantesca calamita sembra aver attratto l´area più grigia della società. Un gigantesco mosaico di frustrazioni, violenza, miseria intellettuale. La manovalanza ideale per chiunque voglia creare disordini.
Gli ultrà infatti non hanno ideologie, non sono né di destra né di sinistra. Sono picchiatori e basta al soldo di chi li ingaggia. Buoni per ogni occasione.
Quasi alle porte dell´ultimo tratto di Kralja Petra, che immette nel quartiere periferico di Dorcol sulle rive del Danubio - la roccaforte dei tifosi del Partizan - c´è un enorme murale che raffigura Al Capone e quella che nelle intenzioni del suo autore doveva essere la visione dell´esistenza del sanguinario padrino di Cosa nostra. Una lunga sfilza di "pillole di saggezza" così riassumibili: «Nel corso di una vita si possono cambiare molte cose, quasi tutte. Le fidanzate, le mogli, le opinioni politiche e perfino il modo di esigere il pizzo, ma la squadra del cuore e gli `amici´ no. Quelli sono per sempre». Guai a chi sgarra, dunque.
E allora "Benvenuti ad Alcatraz". No, qui il famigerato penitenziario americano non c´entra nulla. Alcatraz per fortuna è soltanto una scritta su un muro scrostato. Avverte i "malintenzionati" però che siamo entrati in una sorta di terra sacra, nella tana della più oltranzista della frange dei grobari, i becchini del tifo bianconero del Partizan. Gente dura, irriducibili. Basterebbe esibire un gagliardetto della Stella Rossa o del Rad per finire accoltellati in un attimo.
All´indomani del raid di Genova, quelli di Alcatraz però hanno scelto un basso profilo. La polizia li bracca e allora se ne stanno a casa o in uno dei loro covi, baretti, sale giochi o scommesse. Nell´elenco di quelli che odiano, i giornalisti occupano una delle primissime piazze soprattutto dopo i reportage di Brankica Stankovic, inviata del network televisivo B92. La Stankovic ha firmato a una coraggiosissima inchiesta sul tifo violento e sulle mafie del calcio. Sei puntate di un´ora ciascuno.
Roba tosta, piena di nomi e cognomi, che ha addirittura fatto sì che il boss di Alcatraz finisse in galera. Scommesse, partite truccate, mazzette, trasferimenti milionari di giovani calciatori all´estero, l´ingerenza dei boss del narcotraffico nello sport più amato dai serbi, la faccia nascosta del calcio messa a nudo. Un´inchiesta scomoda che è costata minacce di morte a Brankica, che ora è costretta a vivere sotto scorta. Con questa teppaglia, dunque non si scherza. Se lo ricorderanno finché campano anche i supporter del Tolosa football club, che l´anno scorso a Belgrado per un turno di Europa League hanno dovuto piangere la morte di uno di loro, Buce Taton, accoltellato senza un perché.
Zeljko c´era nell´ultima domenica di pietre e di sangue a Belgrado. Ha vent´anni, rasato, tatuatissimo, sul metro e novanta per oltre cento chili di peso. Ha fatto boxe e sostiene di poter ammazzare con un sol pugno. C´è da credergli sulla parola. Studi pochissimi, lavoro nessuno, hobby: biliardo, slot machine e soprattutto calcio. Partizan, manco a dirlo. Una fede, un amore - confessa - al quale non riesce a sottrarsi. Perché ce l´aveva a morte con i ragazzi del Gay Pride? La domanda sembra coglierlo di sorpresa. Se fosse in grado di ragionare potrebbe addirittura rispondere qualcosa di simile a un «niente di personale», e invece si limita a dire: «Quando un brat, un fratello di tifo, chiama, bisogna rispondere». Insomma la filosofia di Al Capone.
Per farla breve: qualcuno gli ha telefonato, gli ha detto: devi venire, e lui ci è andato. Si trattava di scontarsi con la polizia, ma poteva trattarsi d´altro, lui non si sarebbe comunque sottratto. Una pedina, dunque, sullo scacchiere della violenza urbana, Una delle migliaia reperibili nelle frange del tifo violento. A Genova però lui non c´è stato. Biascica di non aver fatto in tempo, ma in realtà non fa parte dell´"èlite" della categoria, è soltanto un figurante di seconda fila. La prova è che a interrompere la nostra breve chiacchierata basta l´occhiata torva di un brat, una sorta di graduato della sua confraternita, che di corsa spunta fuori da un bar e punta verso di noi. Zeljko quasi se la dà a gambe. Inutile insistere, Alcatraz è blindata.
Zeljko e quelli come lui sono dunque manovrati. Come dire che abbiamo individuato il killer, ma non il mandante. Al primo posto sulla lista dei sospettati c´è "Obraz", l´organizzazione clero-fascista di Mladen Obradovic. Dio, patria, famiglia, serbità, Mladic e Karadzic e altra paccotiglia ultranazionalista del genere. La stessa di organizzazioni sorelle come Nasi e 1389, quella del terribile Ivan di Genova.
Trent´anni, studi incompiuti di storia e teologia, piccolino, minuto, l´esatto opposto di uno come Zeljiko o Ivan, Obradovic, finito in manette domenica scorsa subito dopo gli scontri con la polizia, è sicuramente la mente dei disordini. E´ lui al di là di ogni ragionevole dubbio che ha coordinato la sassaiola anti Gay Pride. A casa sua c´erano le liste, complete di nomi, dei sei gruppi d´attacco. Ma chi lo ha finanziato? La mafia, secondo gli analisti del quotidiano Press. Un rapporto della Bia, una branca dei servizi segreti serbi, avvalorerebbe questa tesi. I monopolisti che vedrebbero l´ingresso in Europa della Serbia come il fumo negli occhi. Gli ambienti più conservatori della Chiesa ortodossa, quella che fa capo al metropolita montenegrino Amfilohije, che ha osteggiato in ogni modo il raduno omosessuale, secondo altri. Ma se cade Tadic, chi può prenderne il posto?
Secondo gli ultimi sondaggi in caso di elezioni anticipate potrebbe esserci un testa a testa tra il partito democratico del presidente in carica e la costola fintamente progressista degli ex radicali di Tomislav Nikolic. Per ora nessuno si azzarda a puntare l´indice contro l´ex delfino del criminale di guerra Vojslav Seseli, anche se politicamente è l´unico che potrebbe trarrre benifici da una crisi di governo. Certo è che i due episodi violenti con gli ultra del tifo come protagonisti a Belgrado e Genova, sono troppo ravvicinati per non pensare che siano parte di una stessa strategia d´attacco.
Chi non ha dubbi è Slobodan Homen, alto funzionario del ministero della Giustizia serbo: «Anche se non è un vero e proprio golpe, sicuramente siamo di fronte a un pericolosissimo colpo di coda di coloro, imprenditori e criminali che non si arrendono alla modernità. Penso a trafficanti d´ogni genere spaventati da un regime di concorrenza che li spazzerebbe via. Abbiamo molti nemici: gruppi mafiosi, movimenti che si oppongono alla collaborazione con il tribunale dell´Aja, estremisti di varia natura e partiti d´opposizione che se anche non finanziano il disordine, certo potrebbero giovarsene». L´unica certezza è che ci vorrà ancora chissà quanto tempo perché sui muri Belgrado invece che «Giustizia per Uros», si possa leggere un più rassicurante: «Consegniamo Mladic».