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 2010  ottobre 14 Giovedì calendario

QUEI TELEX SBAGLIATI DA BELGRADO

Ora che il Lotar serbo, Ivan Bogdanov, è in ceppi e si scopre che a Belgrado quel quintale e passa di carne tatuata lo conoscevano anche i sassi, come del resto i "Grobari" e i "Delije" (i "becchini", del "Partizan" e, gli "eroi" della "Stella Rossa"), che gli facevano da corona, si fa davvero buio pesto.

Perché se è vero che non era necessario un indovino per immaginare, dopo la devastazione del gay-pride di Belgrado (141 feriti, 200 fermati), con quali intenzioni sarebbero arrivati a Genova gli orchi dell´ultradestra nazionalista, è altrettanto vero che, nella notte di Marassi, la polizia serba ha lasciato che il Dipartimento di pubblica sicurezza giocasse al buio una sfida infernale, di cui ha finito per comprendere il plot e l´impatto simbolico quando ormai era troppo tardi. Quando Ivan aveva ormai guadagnato il centro della scena. E la scelta che restava, per giunta in una città abitata dal fantasma del G8, era tra la battaglia nei carrugi e lo spettacolo degli incappucciati nella gabbia. Lo documentano due telex custoditi nell´ufficio del capo della polizia Antonio Manganelli. La «prova» - a dire del ministero dell´Interno e della nostra diplomazia - che Belgrado ha «irresponsabilmente taciuto prima» e «bluffato, poi».
Il primo documento porta la data dell´11 ottobre, lunedì. Alla partita mancano 36 ore. E la polizia di Belgrado informa il nostro Dipartimento di Pubblica Sicurezza degli spostamenti della squadra serba e della tifoseria al seguito. È - a dire di fonti qualificate del Dipartimento - il primo scambio di informazioni tra i due apparati di sicurezza. «La Nazionale - si legge - arriverà con volo charter (…) e alloggerà all´hotel Savoia. Una parte della squadra farà rientro a Belgrado subito dopo l´incontro, mentre alcuni giocatori si fermeranno per la notte. L´ufficiale di collegamento al seguito della delegazione è il signor (…) con numero di cellulare (…). Dalle informazioni in nostro possesso, è previsto che la squadra venga seguita da circa 100 tifosi. 80 partiranno da Belgrado con due diversi pullman con direttrice Ungheria-Croazia-Slovenia, altri 17 a bordo di un pulmino con targa (…)».
È un´informazione neutra nei contenuti e assolutamente riduttiva nei numeri. Che raffredda gli appunti con cui l´Ufficio Ordine Pubblico nei giorni precedenti ha segnalato al capo della Polizia i rischi potenziali della partita. E le stesse note con cui Manganelli ha aggiornato il ministro Roberto Maroni sulla vigilia di Marassi. È un informazione che, a quanto pare, dissuade chiunque, negli apparati della nostra sicurezza, a drammatizzare i fatti della domenica del gay-pride, l´appuntamento di Marassi e le tensioni nazionaliste su un governo di Belgrado che per il 25 ottobre attende un «sì» al suo ingresso nell´Unione Europea. «Quel telex - riferiscono ancora fonti qualificate del Dipartimento - esclude oggettivamente, se non altro per i numeri, che si prepari una spedizione che ha come obiettivo di non far disputare la partita e mettere in scena in eurovisione la violenza nazionalista». Il «dispositivo di ordine pubblico» viene insomma tarato di conseguenza. Il Reparto celere di Genova e i battaglioni dell´Arma vengono infatti rinforzati con 300 uomini, nella convinzione che chi arriva da Belgrado non abbia la forza, né la voglia di prendersi lo stadio e la piazza.
La mattina del 12, martedì, giorno della partita, un secondo telex. Generico quanto il primo, ma improvvisamente allarmante perché nel giro di una notte i numeri di Belgrado sono lievitati. «Si comunica - si legge - che i biglietti nominativi venduti in Serbia sono circa 1300 e in base a informazioni in nostro possesso sappiamo che pullman e auto private sono partite alla volta dell´Italia nella notte dell´11. Non se ne conosce l´orario di arrivo». Contestualmente, la polizia ungherese segnala che, proprio nella notte di lunedì, alle sue frontiere il traffico di "tifosi" serbi in direzione Croazia è stato intenso. Che a Marassi, insomma, quella che sta per arrivare non è esattamente una comitiva di amici.
Ma ormai è troppo tardi. A Genova non c´è più tempo né per disporre controlli sulle vie di accesso alla città che raccolgano e incanalino pullman (alla fine saranno 15) e macchine targate Serbia. Né per immaginare un punto di raccolta diverso dall´angusto spazio antistante lo stadio "Ferraris" dove, già in condizioni normali di campionato, è complicato il filtraggio di tifoserie di cui si conoscono a memoria le facce. Insomma, a metà pomeriggio di martedì, la frittata è fatta. E con i primi fuochi e vetrine sfasciate nel centro della città, con il buio che sta per scendere in città, con l´assalto al pullman che porta allo stadio la squadra serba, l´ordine del capo della Polizia è di non cercare l´ingaggio, ma di concentrare rapidamente i serbi nella gabbia di Marassi. Per evitare un´altra "Diaz". Il filtraggio ai cancelli diventa così una chimera e Ivan, con i petardi, può tranquillamente entrare con le sue cesoie da giardino e l´armamentario simbolico di teschi e croci ortodosse con cui dare a vita al suo di spettacolo. Che, a quel punto, nessun ordine di carica sulle gradinate interromperà. «Per evitare - dice ora Maroni - una strage».