Alessandro Bonelli, Libero 14/10/2010, 14 ottobre 2010
L’IPHONE FATTO IN CINA COSTA SOLO CINQUE EURO NOI LO PAGHIAMO 600
L’iPhone di quarta generazione è un oggettino che ci costa oltre 600 euro. Ma la Apple per produrre in Cina il suo popolarissimo telefono cellulare spende solo 6,54 dollari, meno di 5 euro. La stima è stata effettuata da iSuppli, multinazionale specializzata nelle ricerche di mercato, mentre tornano sotto accusa Hon Hai e Foxconn, le compagnie che producono nella Repubblica Popolare “gadget” elettronici per Apple ma anche per Hp, Dell e altri colossi del settore.
In quelle fabbriche già teatro quest’anno di un impressionante catena di suicidi continuano a riscontrarsi orari massacranti, una cultura dellavoro «militaristica» e assunzioni di massa a basso costo. Questo almeno denunciano due organizzazioni che monitorano le condizioni di lavoro nel Paese del Dragone: il China Labor Bulletin di HongKong e il gruppo accademico Students & Scholars Against Corporate Misbehavior (Sa-com). Foxconn Technologies, controllata del colosso taiwa-nese Hon Hai Precision Indu-stry, ha una forza lavoro in Cina di 920.000 dipendenti, di cui almeno 300.000 concentrati nel “campus” industriale di Shenzhen. Secondo quanto ha reso noto l’azienda, entro la fine del 2011 i suoi dipendenti saliranno a 1,3 milioni.
Quest’anno nella fabbrica di Shenzhen si sono tolti la vita 13 giovani operai, spinti a quanto pare da condizioni e ritmi di lavoro massacranti. Inseguito alle polemiche per la catena di suicidi, la Foxconn da giugno è stata in grado di alzare gli stipendi da 900 a 2.000 yuan, circa 200 euro al mese. L’ultimo ritocco è scattato lo scorso primo ottobre e interessa l’85% della forza lavoro. Per la cronaca i 6,54 dollari sborsati dalla Apple per vedere assemblato il suo iPhone di quarta generazione equivalgono all’1,1% del prezzo finale negli Stati Uniti. La casa americana, sempre secondo le stime di iSuppli, vi spunta profitti del 60%. Il quartier generale della Foxconn è situato nella ricca e laboriosa provincia del Guangdong. Il “campus” è abitato da almeno 300.000 uomini e donne che dopo il lavoro si riposano nei dormitori, si rifocillano negli spacci alimentari dell’azienda e magari si svagano nei bar karaoke. Una vera e propria cittadella.
Spesso lo sfruttamento inizia fuori dai cancelli. Secondo quanto ha scritto il China Daily, gli operai provengono soltamente dalle campagne e sono reclutati dai cosiddetti caporali che ogni giorno li trasportano a bordo di camio nall’ufficio personale della compagnia. Se necessario forniscono loro falsi diplomi e attestati, il tutto dietro lauto compenso, poiché i giovan ipostulanti farebbero di tutto pur di conquistare un impiego alla Foxconn. Ovviamente si tratta di una procedura illegale. Non è un caso che a occuparsi della vicenda sia stato un quotidiano controllato dallo Stato.
Il governo e il Partito comunista sono costantemente allarmati per una possibile escalation della tensione sociale e cercano in questo modo di tenerla a bada. La Foxconn negli ultimi mesi ha intrapreso iniziative per migliorare la propria immagine, compresi spettacoli aperti al pubblico e visite guidate per i giornalisti stranieri. Ma secondo il China Labor Bulletin, che tra giugno e agosto ha intervistato 1.700 dipendenti, non è stata detta tutta la verità. L’impresa manifatturiera ricorre sempre più frequentemente per la manodopera agli studenti delle scuole di formazione professionale. I giovani operai “inesperti” non hanno diritto agli stessi stipendi dei loro colleghi più“anziani” e talvolta nemmeno alla polizza contro gli infortuni. La Foxconn in un comunicato ha negato tutto, respingendo «fermamente e categoricamente le accuse infondate».