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 2010  ottobre 14 Giovedì calendario

La parabola di Brunetta - Nessuno più di Renato Brunetta incarna la parabola del governo Berlusconi

La parabola di Brunetta - Nessuno più di Renato Brunetta incarna la parabola del governo Berlusconi. Scattato con passo da centometrista, lungamente primo in testa al plotone ministeriale per visibilità e popolarità che ne consegue, primo anche nel varo di riforme (sulla carta) destinate a restare scolpite nel marmo, come quella «anti-fannulloni» datata 2009. Poi però, una volta tagliato il traguardo del primo anno, è come se il titolare della Pubblica Amministrazione avesse dato il meglio di sé. Dire che da allora ha fatto perdere le tracce sarebbe falso. Ogni giorno inonda le redazioni di comunicati e conferenze stampa. Inoltre Brunetta rimane, perfino a detta degli avversari, un personaggio tra i più intelligenti della politica, una colonna del governo, una risorsa del centrodestra. Eppure... Non sembra più quel fenomeno che si tirava dietro le telecamere. In Italia ci si abitua in fretta. Gli stessi colleghi ministri quasi rimpiangono con nostalgia certi scontri epici con il grande antagonista Tremonti, del quale Brunetta mai si è sentito da meno, forte della cattedra di Economia e di un concetto di sé inversamente proporzionale alla statura («Avrei vinto il Nobel qualora non mi fossi dato alla politica», rivelò un giorno). Tremonti, se è autentica la testimonianza, durante un summit governativo minacciò addirittura di prenderlo a pedate. Acqua passata, comunque. Così come sembrano reperti archeologici quei video su YouTube dove Brunetta si azzuffa con la Bignardi, mostra i denti a Mentana, litiga con Cazzullo e querela in diretta il conterraneo Stella: era la stagione d’oro in cui tutti i giorni Renato guadagnava la prima pagina, un fuoco pirotecnico di trovate e provocazioni intellettuali, di salve polemiche contro «gli insegnanti assenteisti e i supplenti incapaci», contro «i perditempo difesi dai sindacati», contro «Calabria e Campania senza cui l’Italia sarebbe prima in Europa», contro i «bamboccioni» da cacciare di casa per legge a 18 anni e poi più su, sempre più su, fino a bombardare i salotti buoni del potere, l’«élite di merda che ha la puzza sotto il naso e pensa solo a far cadere il governo, vadano a morire ammazzati». Reazioni con la bava alla bocca, perfino Calderoli una volta ebbe a dire: «Renato l’ha fatta fuori dal vaso». Apri adesso il Blog di Brunetta e trovi le ragnatele. C’è l’attacco a Tremonti, ma chi clicca il link scopre che è lì da un anno, quando a Giulio rinfacciò «un potere di veto cieco, cupo, conservatore, indistinto», e Berlusconi dovette intervenire tramite Bonaiuti da Gedda per calmare le acque. Nei sondaggi il suo indice di gradimento permane elevato, solo Maroni gli dà una pista; però l’esposizione mediatica in calo (con l’eccezione di Crespi) deprime gli indici. Brunetta non potrebbe di nuovo vantarsi «sono come la Cuccarini, il più amato dagli italiani». Due le spiegazioni tra gli addetti ai lavori. La prima psicologica: questo personaggio laborioso, competente, capace, per troppi anni è stato tenuto tra i rincalzi berlusconiani. Quando finalmente il Cavaliere gli ha dato la chance di cimentarsi nella sua «mission impossible» (ammodernare la burocrazia, emblema di tutti i nostri mali), lui ha scaricato un’energia contratta, quasi repressa che espandendosi in un Big Bang l’ha ingigantito politicamente e non solo (mitica la caricatura del comico Crozza, nelle vesti di Brunetta su una poltrona smisurata). Fino al giorno della primavera scorsa in cui egli ha coltivato l’ambizione di clonarsi, ministro e pure candidato sindaco nella sua città, Venezia. Stracciato al primo turno da un carneade lagunare, Orsoni. Una botta tremenda al suo «ego», capace addirittura di indire un concorso a premi per la vignetta più feroce. Dicono le malelingue che non si sia ancora ripreso. L’altra spiegazione è tutta politica. Brunetta, figlio di un venditore ambulante, esprime l’indole popolare del berlusconismo, forse più ancora del Cavaliere medesimo. Ma soprattutto ne interpreta l’anima «rivoluzionaria», liberale e meritocratica, di cui Brunetta è stato nella prima fase il ta-tze-bao vivente. Sennonché questa stagione pare al tramonto per mancanza di soldi, di coesione, forse di idee. Non sempre, del resto, le rivoluzioni sono all’altezza delle aspettative che suscitano tra la gente. Se l’interpretazione è esatta, si applica dunque a Brunetta la stessa sfida che vale per il premier: saprà ritrovare lo slancio delle origini? L’unica certezza è che il tran-tran non fa per lui.I sondaggi qui sopra rappresentati si riferiscono a rilevazioni effettuate ogni settimana da Istituto Piepoli mediante interviste telefoniche con metodologia CATI su un campione di 500 casi rappresentativo della popolazione italiana maschi e femmine dai 18 anni in su, segmentato per sesso, età, Grandi Ripartizioni Geografiche e Ampiezza Centri proporzionalmente all’universo della popolazione italiana maggiorenne.