Superbonus, il Fatto Quotidiano 14/10/2010, 14 ottobre 2010
LA SVALUTAZIONE DEL DOLLARO SCUOTE L’EUROPA MA LE BANCHE NE APPROFITTANO
Nel giro di pochi giorni la Germania ha fatto capire le sue intenzioni: nessun intervento sul mercato dei cambi aumentando la base monetaria europea, nessuna dilazione nei pagamenti del prestito concesso alla Grecia in primavera per salvarla dalla bancarotta. Nessuna svalutazione dell’euro nessuna nuova misura straordinaria. L’esatto contrario di come si stanno muovendo gli Stati Uniti: politiche monetarie espansive e aiuti alle amministrazioni locali in difficoltà. E’ uno scontro tra dollaro ed euro, ma anche fra linee opposte di politica economica e monetaria. Gli Stati Uniti hanno deciso che, costi quel che costi, inietteranno altri miliardi di dollari nell’economia attraverso il “quantitative easing”. Che altro non è se non la stampa di denaro in quantità mai viste prima. L’Europa guidata dalla Germania ha scelto la strada di stringere la cinghia. Chi ha ragione?
Probabilmente nessuno e tutti e due. Entrambi stanno seguendo una strada pericolosa che nel primo caso può portare all’iperinflazione, nel secondo alla depressione. Ma la crisi che stiamo già vivendo quella delle banche centrali che appaiono succubi dei governi e dell’establishment finanziario. La montagna del dibattito sul cambiamento delle regole nella finanza ha partorito il topolino di qualche reprimenda verbale ai grandi banchieri, i quali hanno scrollato le spalle e sono tornati a speculare come se niente fosse. La leva del sistema finanziario mondiale, cioè l’indebitamento netto, è aumentata invece che diminuire. E le banche centrali, invece di limitare l’assunzione di rischi, l’hanno incentivata mantenendo pesi di rischio e regole contabili di un altro mondo. Un mondo disegnato dai teorici ma lontano dalla realtà. Il caso della Grecia ha evidenziato i limiti di questo approccio. Ma ancora oggi una banca che compra titoli di stato greci può contabilizzarli come privi di rischio, può anche darli in garanzia alla Bce per ottenere denaro che paga all’1 per cento mentre il rendimento dei titoli ellenici è superiore al 7. Più di sei punti percentuali di guadagno sono un bell’incentivo per scommettere i risparmi dei propri correntisti su una nazione traballante. Soprattutto se lo si fa protetti e incentivati dalle autorità monetarie.
Lo stesso discorso si applica a Portogallo, Irlanda e – negli Stati Uniti – ai bond di quelle istituzioni che sono malate ma anche “too big to fail”, troppo grandi per fallire. I tassi bassi e la copertura delle autorità di controllo stanno incentivando il sistema finanziario ad assumere rischi incalcolabili per avere dei profitti da distribuire in dividendi agli azionisti. Governi e banche centrali sono complici nel procrastinare il più possibile l’esplosione di questo bubbone. La “bolla dei bond” esiste ma nessuno si vuole la responsabilità di sgonfiarla. Ben Bernanke, presidente della Federal Reserve, ha anzi deciso di gonfiarla ancora-comprando obbligazioni statali, mutui, e crediti da carte di credito in misura dieci volte superiore ad ogni suo predecessore. E non contento si accinge a comprarne ancora. Jean Claude Trichet, presidente della Bce, è paralizzato fra le richieste tedesche di rigidità e le esigenze di sostegno all’economia che arrivano da parte dei Paesi più periferici nell’area euro.
Su entrambe le sponde dell’atlantico, comunque, la politica si è intromessa troppo nelle decisioni di istituzioni che dovrebbero essere indipendenti. La Federal Reserve dovrebbe preservare ruolo di valuta di riferimento del dollaro americano e prevenire l’inflazione (stimolando anche la crescita). La Bce dovrebbe guardare meno ai modelli matematici e all’inflazione – unico parametro previsto dal suo statuto – e capire che paesi che pagano interessi dalle due alle quattro volte più alti di quelli tedeschi non potranno sopravvivere a lungo. Trichet sembra non capire che un’eccessiva svalutazione del dollaro può in breve tempo mettere in difficoltà tutta l’Europa.
Ma su questa asimmetria fra vecchio e nuovo continente e all’interno dell’Unione Europea si stanno realizzando le fortune delle banche d’investimento. Il “carry tra-de”, prendere soldi a prestito dalle banche centrali a tassi bassi e investirli a tassi alti in obbligazioni, è la nuova tattica preferita dei “bankers” e la fonte dei loro superbonus. Il ministro del Tesoro Giulio Tremonti ha ragione : “i bankers” sono tornati e si fanno sentire dai governi e dalle banche centrali. I loro consigli sono travestiti da “economic research” o “economic outlook” ma mirano tutti allo stesso scopo: impedire che le banche centrali capiscano che sono diventate esse stesse un ostaggio delle istituzioni private. Dice Nassim Taleb, esperto mondiale di rischio finanziario: “Sono andato via dalla Francia perché il governo diventava padrone delle banche, ora mi trovo in un mondo dove le banche possiedono i governi”.