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 2010  ottobre 12 Martedì calendario

LA TRADUZIONE INFEDELE CHE AGGRAVÒ LO STRAPPO - È

passato un quarto di secolo da quelle concitate notti dell’ottobre 1985. Stati Uniti e Italia si misuravano sul campo, per la prima volta, uno contro l’altro. Ma è certo che l’alleanza, da quella prova, uscì rafforzata.

Nella base di Sigonella, tra il 10 e l’11 ottobre di quell’85, intorno al Boeing dell’Egypt Air con a bordo i dirottatori dell’Achille Lauro (e assassini di Leon Klinghoffer) e i due negoziatori Abu Abbas e Ozzuddim Badrakkan, si consumava uno scontro che andava al di là degli aspetti militari e giuridici. Da una parte la Delta Force del generale Steiner e dall’altra i carabinieri e i blindati del generale Bisogniero. Il muro di Berlino non era ancora caduto e la logica dei blocchi ci assegnava un ruolo da prima linea che, dopo l’89, andò evaporando nel "nuovo concetto strategico della Nato". Tuttavia, mai come allora gli Stati Uniti di Reagan e l’Italia di Craxi capirono le loro "ragioni diverse". Con una certa dose di cinismo l’ex segretario di Stato americano, Henry Kissinger, riferendosi alla liberazione di Abbas ebbe a dire: «We had to get mad, you had to set him free», ossia «noi eravamo costretti ad arrabbiarci, voi eravate costretti a liberarlo».

Ma fu il 12 ottobre ’85 la giornata più difficile nella ricostruzione fatta dal consigliere diplomatico di Bettino Craxi, Antonio Badini e dal suo capo della segreteria politica, Gennaro Acquaviva nel recente libro "La pagina saltata della storia". Tutto, ricordano gli autori, ruotava intorno alla decisione sulla liberazione di Abu Abbas. Il ministero della Giustizia non ravvisava elementi per concedere l’estradizione dei quattro dirottatori mentre per Abbas non ravvisava elementi "penalmente rilevanti".

Ma lo "strappo" consumato nella notte precedente lo si deve anche alle incomprensioni dovute alle "libere traduzioni" delle telefonate tra Craxi e Reagan. «La perla delle superficialità – scrivono Badini e Acquaviva – la fornì allora Michael Ledeen che in quella notte a due riprese fece da interprete tra Reagan e Craxi». Nella seconda telefonata Ledeen fece dire a Craxi che era d’accordo a tenere in custodia cautelare tutte e sei le persone mentre aveva detto che avrebbe consegnato i quattro dirottatori alla giustizia italiana e fatto accertamenti sui due negoziatori. «Ledeen imbrogliò le carte – dice Acquaviva – era dentro i giochi, si era fatto strumento di una posizione filoisraeliana e antiitaliana».

Rileggere oggi quel confronto alla luce, ad esempio, di vicende italo-americane simili come le "extraordinary renditions" e il caso Abu Omar è illuminante del prima e dopo Muro di Berlino. «Finchè c’è stato Craxi e comunque fino al crollo del muro – aggiunge Acquaviva - avevamo una centralità che poi abbiamo perso ma Sigonella resta non solo un rigurgito di patriottismo all’italiana ma un punto di altezza negli equilibri all’interno della Nato».

A giudicare dai risultati successivi della politica estera italiana si direbbe che Sigonella ha dato nuovo impulso ai rapporti con Washington. Poche settimane dopo quei fatti Craxi volò infatti in America e ottenne da Reagan l’impegno ad abolire il G-5 finanziario a favore del G-7 che vedeva anche la presenza italiana e canadese come sancito poi nell’estate ’86 a Tokio. E Renato Ruggiero, allora segretario generale della Farnesina, ricorda il Craxi combattivo ma anche l’Andreotti remissivo: «Pensava che la battaglia per l’abolizione del G-5 fosse troppo difficile da vincere e che, quindi, era meglio non farla». Ma si deve a quella battaglia se oggi siamo nel G-7.