Stefano Folli, Il Sole 24 Ore 14/10/2010, 14 ottobre 2010
SU KABUL LE SCELTE OPERATIVE SPETTANO AL GOVERNO, NON AL PARLAMENTO
Sull’Afghanistan c’è un punto chiaro: né il Popolo della Libertà né il Partito Democratico, ossia la maggiore forza di governo e il principale gruppo d’opposizione, intendono dispiacere agli Stati Uniti, nostro principale alleato. Non è accaduto ieri con Bush, non accadrà oggi con Obama che pure dall’Afghanistan intende andarsene appena possibile. In ogni caso, se pure volesse, l’Italia incontrerebbe serie difficoltà ad avviare un ritiro unilaterale che equivarrebbe a incrinare i rapporti con la Nato.
La partecipazione alla missione, con i suoi strascichi dolorosi, ha avuto fin dall’inizio il significato riassunto da Sergio Romano sul «Corriere della Sera» di domenica: è servita «a conquistare un bene per noi particolarmente prezioso: il rispetto degli alleati». Se questo era ed è il fine, si capisce perché la spedizione è stata quasi sempre condivisa in modo trasversale dal Parlamento. Salvo, s’intende, le frange dell’estrema sinistra, e oggi anche dell’Italia dei Valori, in sintonia con l’opinione pacifista. Peraltro anche la Lega, sul versante del centrodestra, si mostra da tempo insofferente e reclama il ritorno dei soldati: ma finora si è trattato di una posizione mediatica, visto che sul piano politico il partito di Bossi non ha mai messo in difficoltà Berlusconi.
In sostanza, Pdl e Pd condividono la filosofia di fondo e anche le ambiguità della missione militare a Kabul. Per ragioni diverse, ma non troppo. Il primo, il Pdl, perché governa e ha sottoscritto con i partner della Nato gli accordi in vigore. Il secondo, il Pd, perché ha governato (fra il 2006 e il 2008) e spera di tornare a farlo. Entrambi vogliono riuscire a non perdere credibilità sul piano internazionale.
Ecco allora che si spiegano le cosiddette «aperture» dell’opposizione, con Piero Fassino, alla proposta del ministro della Difesa La Russa: aumentare la sicurezza delle truppe a terra rifornendo di bombe gli aerei italiani, ma solo in seguito a una decisione del Parlamento. In realtà la questione è mal posta e le prossime ore dovranno far chiarezza. Il punto cruciale è: decide il governo o il Parlamento? Senza dubbio dovrebbe essere l’esecutivo, d’intesa con i vertici militari.
È corretto che le Camere siano informate di quanto accade in Afghanistan e infatti il ministro riferirà domani. Ed è ovvio che la Nato, come ha già comunicato, non sia contraria all’uso delle bombe, anche solo come deterrente: pur precisando che ogni scelta al riguardo spetta alle autorità nazionali. Ma il nostro Parlamento ha già autorizzato la missione, fissandone i criteri. Chiamarlo a decidere formalmente su una questione specifica (le bombe a bordo degli aerei) rischia di avere senso solo se si accetta il principio che l’operazione ha mutato di segno: non più missione di pace, ma di guerra.
Finora, con qualche ipocrisia, Pdl e Pd hanno concordato nel considerarla «di pace». Ma in tal caso il governo ha tutti gli strumenti per gestirla sul campo. Spetta agli esperti indicare le tattiche migliori, anche riguardo al tema posto da La Russa. Ieri, ad esempio, le opinioni dei generali Tricarico e Angioni riportavano il dibattito nei suoi esatti termini tecnico-militari.
Il Parlamento può esprimere una valutazione generale, di indirizzo. Può allungare lo sguardo sulla prospettiva a medio termine (e qui Pdl e Pd tendono a convergere, pur tenendo d’occhio il proprio elettorato). Ma non può e non deve, salvo casi eccezionali, sostituirsi al governo nelle scelte operative, per rischiose che siano.