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 2010  ottobre 14 Giovedì calendario

RISERVE: GUERRA DI CIFRE TRA BAGHDAD E TEHERAN

Non è una guerra che si combatte con armi convenzionali. Quella l’hanno già combattuta, dal 1980 al 1988 ed è costata un milione di morti e un prezzo insostenibile per le due rispettive economie. I due belligeranti sono comunque sempre loro due, Iran e Iraq. Ma quella di oggi è una guerra di numeri. Cifre e statistiche che toccano il più sensibile dei dati: le riserve di petrolio. Entrambi rivendicano di più dell’altro. E se uno dei due si azzarda ad aumentare lo sue, l’altro segue a ruota giocando al rialzo. Quasi fosse un incantesimo e bastasse una dichiarazione a riempire il sottosuolo di greggio.

Veniamo alla cronaca: lunedì cinque giugno, Hussain al-Shahristani, il ministro del petrolio iracheno, dirama un comunicato che fa subito il giro del mondo: le riserve accertate di greggio in Iraq sono salite a 143 miliardi di barili. Un aumento del 25% rispetto alle precedenti stime. In questo modo l’ex regno di Saddam diventa il secondo paese al mondo, dopo l’Arabia Saudita (264,5 miliardi di barili), scalzando così l’Iran (si parla di petrolio convenzionale, escludendo quindi le sabbie bituminose). Lunedì la risposta dell’Iran, per bocca del suo ministro dell’Energia, Massoud Mirkazemi: l’Iran può contare ora su riserve accertate di 150 miliardi di barili. Un bel salto rispetto ai precedenti 138 miliardi. Che riporta Teheran al secondo posto.

La risposta più immediata, ma anche più facile, è che sia un tentativo dell’Iraq di avere una quota produttiva massiccia, comunque maggiore di quella iraniana, quando arriverà il tempo per chiederla (da anni il suo tetto produttivo è sospeso). L’Opec funziona così: a ognuno dei 13 paesi membri è attribuito un tetto produttivo da non superare. In questo modo, tagliando o aumentando l’offerta, l’Opec è in grado di controllare il prezzo del barile. «Che sia una mossa dell’Iraq per avere una quota maggiore è vero, ma solo in parte - spiega al Sole 24 Ore Leonidas Drollas, uno degli analisti più autorevoli del mondo e capo economista del Cges di Londra – le quote Opec sono distribuite in base a una pluralità di fattori: le riserve contano, ma anche la capacità produttiva, la popolazione, ed altri elementi. Credo si tratti più di una battaglia politica». In cui, lascia intendere Drollas, a perdere è l’Iran. «Dei due è il meno credibile. La produzione iraniana sta scendendo, altro che salire come sostengono loro. Anni di sanzioni hanno danneggiato pesantemente la sua industria estrattiva». Che sia una battaglia dal sapore politico lo dice anche Issam al–Chalabi. Lui, ministro iracheno del petrolio dal 1987 al 1990 sa bene come si calcolano le riserve. E a suo avviso non sono affidabili tanto le nuove stime di Baghdad quanto quelle di Teheran.

Calcolarle è molto difficile, ma le riserve sono importanti, per tutti. Anche per le major energetiche occidentali, il cui andamento in borsa può essere influenzato sostanzialmente dall’ammontare dei loro giacimenti. E anche loro qualche volta non hanno fatto i conti a dovere. Come la Shell, che nel 2004 rivelò di aver sovrastimato le riserve. E non è stato l’unico caso. Immaginabile pensare cosa avvenga in alcuni paesi produttori i cui governi corrotti sono da tempo allergici alla democrazia, e alla trasparenza. Gli errori sono evidenti, in buona o malafede. Uno dei casi emblematico è quello dell’Algeria. Nei primi anni 70 alzò le riserve da 7 a 30 miliardi di barili salvo poi scendere sotto i dieci qualche anno più tardi. «Le riserve - continua Drollas - crescono e scendono anche a causa del prezzo del petrolio. Una riserva può defenirsi accertata quando il costo per estrarre petrolio in barile non supera il prezzo del greggio sui mercati». Drollas poi ironizza. «Chissà perché però negli ultimi anni le riserve sono solo salite...».

Un dato di fatto è comunque inopinabile. Le riserve irachene sono abbondanti. «Riteniamo che l’Iraq abbia altri 100 miliardi di barili in riserve ancora da accertare. Potrebbe dunque arrivare a 200 miliardi. Si tratta di stime. Ma in Iraq noi contiamo su geologi locali affidabili e informati. In Iran è un’altra cosa». L’ex regno di Saddam potrebbe in futuro dunque insidiare l’Arabia Saudita, che possiede il 25% degli 1,064 miliardi di barili attribuiti all’Opec. In pratica l’80% delle riserve mondiali.

L’Iraq, l’eterna promessa mancata, è divenuto il nuovo eldorado dell’oro nero. È opinione unanime che in 4-5 anni possa raddoppiare la sua produzione portandola a cinque milioni di barili al giorno. E in dieci anni potrebbe fare molto di più. Naturale aspettarsi che, quando si presenterà l’occasione giusta, chiederà una quota maggiore dell’Iran. Altrettanto prevedibile che Teheran protesterà adducendo il fatto che l’Iraq non ha mai prodotto di più di loro. Nella battaglia delle riserve non sono così da escludere altri colpi di scena. Anche perché Sharistani ha aggiunto: la revisione delle nostre riserve non include le stime sui giacimenti al confine tra Iraq e Kuwait e tra Iraq e Iran. Il nuovo sorpasso è dunque imminente.