Giancarlo Perna, il Giornale 14/10/2010, pagina 7, 14 ottobre 2010
Fini si fa il partito a spese nostre - Ricordo grandi presidenti della Camera che su singole questioni suscitarono scontento a volte nella maggioranza, altre nell’opposizione
Fini si fa il partito a spese nostre - Ricordo grandi presidenti della Camera che su singole questioni suscitarono scontento a volte nella maggioranza, altre nell’opposizione. Accade con Nilde Iotti, detta la “zarina” per il prestigio, con Sandro Pertini, Giorgio Napolitano. Non mi sembra invece che in questi due anni e mezzo a capo di Montecitorio, Gianfranco Fini abbia creato malumori di rilievo. Il suo bilancio tecnico come presidente - grazie anche alla perizia del segretario generale, Ugo Zampetti- è dunque positivo. Eppure nessuno dei suoi predecessori è stato così politicamente incompatibile con il ruolo come lo è lui oggi. Già da tempo, Fini avrebbe dovuto dimettersi. La questione non è giuridica ma di sensibilità. Nulla lo costringe, salvo la decenza. Una virtù che è la bussola del politico di razza e che il Nostro invece ignora. Gianfry è da mesi in rotta con il centrodestra, ossia con oltre metà della Camera. All’antica alleanza, è subentrata l’antipatia personale con il Cav.Un’avversione che,da entrambe le parti, sfiora il desiderio reciproco di farsi del male. Durante la chiusura estiva del Parlamento questi sentimenti non hanno potuto tradursi in atti. Ma adesso, con la ripresa dei lavori, come potranno non manifestarsi? Il centrodestra è pieno di sospetti e non si fida. Fini ha già fatto capire che se alcuni provvedimenti del governo non gli garbano per esempio sulla giustizia - li ostacolerà. La sinistra, che lo ha adottato, tifa per lui e gli tiene bordone nella sua battaglia anti-berlusconiana. Come può obiettivamente Gianfry garantire la neutralità formale se gli manca la serenità interiore? Non può. In ogni caso, la maggioranza non ha fiducia nella sua presidenza. Mai successo in oltre 60 anni di Parlamento repubblicano. Basta e avanza per azzerare alla radice la sua idoneità a guidare la Camera. Un presidente degno non può ignorare il clima e dovrebbe trarne le conseguenze prima che la situazione degeneri, con atti inconsulti da parte sua e di aperta ostilità degli altri. Ne va della sua dignità e quella della camera che dirige. C’è poi la vicenda di Montecarlo. Fini ha fatto lo gnorri sulle accuse. Non può però fingere che non sia successo nulla. Tutto, infatti, lascia pensare che la casa di cui era il custode in nome di An sia stata incamerata da lui e la tribù dei Tulliani a prezzi stracciati. Il suo prestigio perciò, come politico e uomo, è sottoterra. Agli occhi di molti italiani ha perso la stima non solo per la compravendita opaca ma per la caparbietà con cui si trincera in omissioni funamboliche e silenzi da ragazzetto preso con le mani nella torta. Lo testimoniano le centinaia di migliaia di firme raccolte dal Giornale e Libero che ne chiedono le dimissioni, formalmente dalla presidenza della Camera, in realtà dalla politica tout court . Per tutti costoro - nella stragrande maggioranza ex elettori di An - Gianfry è un bugiardo disonesto. Può un personaggio che tanti non vorrebbero gli passasse la soglia di casa fare il garante di un’assemblea che ci rappresenta tutti? No di certo. Altro buon motivo perché Fini, sintonizzandosi con gli umori del Paese, lasci la cadrega ad altri più titolati. C’è infine un terzo motivo di dimissioni, moralmente meno grave, ma politicamente decisivo. Al Nostro il gruppo parlamentare autonomo, Futuro e Libertà, non basta più. Vuole fondare un nuovo partito dello stesso nome. Questione di settimane. È già accaduto con Casini e Bertinotti che un capo partito fosse presidente della Camera. Mai però che un presidente lo diventasse durante il mandato. Eletto nella carica come rappresentate del Pdl, Gianfry si trasformerà in leader di un’altra formazione. Di Casini e Bertinotti si sapeva al momento dell’elezione, di Fini no. Non era nei patti, né era prevedibile. Questo ne cambia la natura in corsa poiché, se si fosse immaginato il futuro salto della quaglia, col piffero che Gianfry sarebbe salito alla massima carica. Tanto più che non è ancora chiaro con chi si schiererà la nuova compagine. L’agile Bocchino dice che si alleerà col centro. L’ingrugnito Granata la preferisce sodale di Di Pietro e della sinistra. Fini, per cambiare, fa la Pizia e non si pronuncia. Insomma, c’èil rischio che la presidenza passi da destra a sinistra, stravolgendo a posteriori la volontà del Parlamento (oltre che dell’ elettorato). Urgono dunque le dimissioni. Se non per decenza, purtroppo carente, per chiarezza. Siamo già in ritardo. Anche per evitare quello che, ahimè, sta accadendo. Gianfry, infatti, per la fine del mese ha programmato un tour nelle capitali europee per farsi meglio conoscere nel vasto mondo, illustrare le proprie intenzioni, spiegare cosa lo divide dal Cav. Va a Londra, Berlino e Parigi. «Un giro politico destinato a completare il cursus honorum dell’ex leader di An», come annuncia enfaticamente La Stampa in un brillante articolo che illustra le gesta a venire del Nostro. Incontrerà lo speaker della Camera dei Comuni, John Bercow, e assisterà, ospite d’onore,a un dibattito parlamentare col premier David Cameron. Seguiranno contatti con la City. Lo stesso farà nel Paese della Merkel e in quello di Sarkozy.Personaggi a lui noti grazie all’esperienza di ministro degli Esteri nei precedenti governi del Cav. A Parigi non è escluso un abboccamento con l’ex presidente della Repubblica francese, Valery Giscard d’Estaing, di cui fu vice - ovviamente di nomina berlusconiana- nella commissione per la Costituzione Ue. Con tutti costoro dirà della sua nuova posizione, della lite col Cav, reclamizzerà il suo prossimo partito. Prenderà aerei, sfreccerà in auto blu, avrà un nutrito seguito di funzionari e scorte, sostando in alberghi a cinque stelle. Insomma, una bella pubblicità per se stesso e il suo movimento, con i privilegi del presidente della Camera. Per concludere. In Italia è in bilico. La maggioranza dei cittadini lo vorrebbe a casa o, almeno, senza più il pennacchio. Ma lui nicchia, sfarfalleggia e si fa propaganda. Tanto c’è il contribuente: il fesso che paga.