Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  ottobre 14 Giovedì calendario

Fini si fa il partito a spese nostre - Ricordo grandi presidenti della Camera che su singole questioni suscitarono scon­tento a volte nella maggioran­za, altre nell’opposizione

Fini si fa il partito a spese nostre - Ricordo grandi presidenti della Camera che su singole questioni suscitarono scon­tento a volte nella maggioran­za, altre nell’opposizione. Ac­cade con Nilde Iotti, detta la “zarina” per il prestigio, con Sandro Pertini, Giorgio Napo­litano. Non mi sembra invece che in questi due anni e mez­zo a capo di Montecitorio, Gianfranco Fini abbia creato malumori di rilievo. Il suo bi­lancio tecnico come presiden­te - grazie anche alla perizia del segretario generale, Ugo Zampetti- è dunque positivo. Eppure nessuno dei suoi pre­decessori è stato così politica­mente incompatibile con il ruolo come lo è lui oggi. Già da tempo, Fini avrebbe dovuto dimettersi. La questione non è giuridica ma di sensibilità. Nulla lo costringe, salvo la de­cenza. Una virtù che è la bus­sola del politico di razza e che il Nostro invece ignora. Gianfry è da mesi in rotta con il centrodestra, ossia con oltre metà della Camera. Al­l’antica alleanza, è subentrata l’antipatia personale con il Cav.Un’avversione che,da en­trambe le parti, sfiora il deside­rio reciproco di farsi del male. Durante la chiusura estiva del Parlamento questi sentimen­ti non hanno potuto tradursi in atti. Ma adesso, con la ripre­sa dei lavori, come potranno non manifestarsi? Il centrode­stra è pieno di sospetti e non si fida. Fini ha già fatto capire che se alcuni provvedimenti del governo non gli garbano ­per esempio sulla giustizia - li ostacolerà. La sinistra, che lo ha adottato, tifa per lui e gli tie­ne bordone nella sua batta­glia anti-berlusconiana. Co­me può obiettivamente Gian­fry garantire la neutralità for­male se gli manca la serenità interiore? Non può. In ogni ca­so, la maggioranza non ha fi­ducia nella sua presidenza. Mai successo in oltre 60 anni di Parlamento repubblicano. Basta e avanza per azzerare al­la radice la sua idoneità a gui­dare la Camera. Un presiden­te degno non può ignorare il clima e dovrebbe trarne le conseguenze prima che la si­tuazione degeneri, con atti in­consulti da parte sua e di aper­ta ostilità degli altri. Ne va del­l­a sua dignità e quella della ca­mera che dirige. C’è poi la vicenda di Monte­carlo. Fini ha fatto lo gnorri sul­le accuse. Non può però finge­re che non sia successo nulla. Tutto, infatti, lascia pensare che la casa di cui era il custode in nome di An sia stata inca­merata da lui e la tribù dei Tul­liani a prezzi stracciati. Il suo prestigio perciò, come politi­co e uomo, è sottoterra. Agli occhi di molti italiani ha perso la stima non solo per la com­p­ravendita opaca ma per la ca­parbietà con cui si trincera in omissioni funamboliche e si­lenzi da ragazzetto preso con le mani nella torta. Lo testimo­niano le centinaia di migliaia di firme raccolte dal Giornale e Libero che ne chiedono le di­missioni, formalmente dalla presidenza della Camera, in realtà dalla politica tout court . Per tutti costoro - nella stra­grande maggioranza ex eletto­ri di An - Gianfry è un bugiar­do disonesto. Può un perso­naggio che tanti non vorrebbe­ro gli passasse la soglia di casa fare il garante di un’assem­blea che ci rappresenta tutti? No di certo. Altro buon moti­vo perché Fini, sintonizzando­si con gli umori del Paese, la­sci la cadrega ad altri più titola­ti. C’è infine un terzo motivo di dimissioni, moralmente me­no grave, ma politicamente decisivo. Al Nostro il gruppo parlamentare autonomo, Fu­turo e Libertà, non basta più. Vuole fondare un nuovo parti­to dello stesso nome. Questio­ne di settimane. È già accadu­to con Casini e Bertinotti che un capo partito fosse presiden­te della Camera. Mai però che un presidente lo diventasse durante il mandato. Eletto nel­la carica come rappresentate del Pdl, Gianfry si trasformerà in leader di un’altra formazio­ne. Di Casini e Bertinotti si sa­peva al momento dell’elezio­ne, di Fini no. Non era nei pat­ti, né era prevedibile. Questo ne cambia la natura in corsa poiché, se si fosse immagina­to il futuro salto della quaglia, col piffero che Gianfry sareb­be salito alla massima carica. Tanto più che non è ancora chiaro con chi si schiererà la nuova compagine. L’agile Bocchino dice che si alleerà col centro. L’ingrugnito Gra­nata la preferisce sodale di Di Pietro e della sinistra. Fini, per cambiare, fa la Pizia e non si pronuncia. Insomma, c’èil ri­schio che la presidenza passi da destra a sinistra, stravolgen­do a posteriori la volontà del Parlamento (oltre che dell’ elettorato). Urgono dunque le dimissioni. Se non per decen­za, purtroppo carente, per chiarezza. Siamo già in ritardo. Anche per evitare quello che, ahimè, sta accadendo. Gianfry, infat­ti, per la fine del mese ha pro­grammato un tour nelle capi­tali europee per farsi meglio conoscere nel vasto mondo, il­lustrare le proprie intenzioni, spiegare cosa lo divide dal Cav. Va a Londra, Berlino e Pa­rigi. «Un giro politico destina­to a completare il cursus hono­rum dell’ex leader di An», co­me annuncia enfaticamente La Stampa in un brillante arti­c­olo che illustra le gesta a veni­re del Nostro. Incontrerà lo speaker della Camera dei Co­muni, John Bercow, e assiste­rà, ospite d’onore,a un dibatti­to parlamentare col premier David Cameron. Seguiranno contatti con la City. Lo stesso farà nel Paese della Merkel e in quello di Sarkozy.Personag­gi a lui noti grazie all’esperien­za di ministro degli Esteri nei precedenti governi del Cav. A Parigi non è escluso un abboc­camento con l’ex presidente della Repubblica francese, Va­lery Giscard d’Estaing, di cui fu vice - ovviamente di nomi­na berlusconiana- nella com­missione per la Costituzione Ue. Con tutti costoro dirà del­la sua nuova posizione, della lite col Cav, reclamizzerà il suo prossimo partito. Prende­rà aerei, sfreccerà in auto blu, avrà un nutrito seguito di fun­zionari e scorte, sostando in al­berghi a cinque stelle. Insom­ma, una bella pubblicità per se stesso e il suo movimento, con i privilegi del presidente della Camera. Per concludere. In Italia è in bilico. La maggioranza dei cit­tadini lo vorrebbe a casa o, al­meno, senza più il pennac­chio. Ma lui nicchia, sfarfalleg­gia e si fa propaganda. Tanto c’è il contribuente: il fesso che paga.