Peppino Caldarola, Il Riformista 14/10/2010, 14 ottobre 2010
I BRUTTI SONDAGGI SPINGONO PDL E PD VERSO LE ELEZIONI
Il capezzale della legislatura non c’è neppure un medico pietoso. Dopo dieci giorni di ottimismo la sorte delle Camere sembra segnata. Scongiurato il voto invernale, che Berlusconi e Bossi avrebbero voluto provocare, il partito delle elezioni anticipate si dà appuntamento per la primavera. I sintomi che fanno pensare agli ultimi respiri finali del Parlamento si fanno molteplici
A destra, al centro e a sinistra si sono aperti i cantieri elettorali. Paradossalmente sono proprio i sondaggi sfavorevoli ai grandi partiti ad accelerare la corsa al voto.
Il Pdl teme un ulteriore crollo delle intenzioni di voto dopo il lungo logoramento della maggioranza e spera che la campagna elettorale rianimi il popolo di destra. L’armistizio con Fini non ha dato i risultati sperati.
L’attività di governo è praticamente bloccata e il partito berlusconiano teme che in questa situazione di incertezza si inseriscano nuovi provvedimenti della magistratura destinati ad azzoppare il gruppo dirigente pidiellino.
La trovata dei cinque punti di programma su cui trovare un’intesa con il presidente della Camera si è rivelata un innocuo escamotage che non ha risolto la questione centrale. Quando Fini ha pronosticato che sulla riforma della giustizia il governo avrebbe corso il rischio di cadere, Berlusconi ha capito che la partita era praticamente finita. Non è un mistero che la posta in gioco del premier fosse quella di ottenere dal nuovo rivale il via libera per un salvacondotto giudiziario. In cambio ha ottenuto solo il lodo Alfano costituzionalizzato che è del tutto ininfluente rispetto alla minaccia del processo di Milano sul caso Mills. Una sentenza di condanna e soprattutto l’ipotesi dell’interdizione dai pubblici uffici lo spingono a provocare, prima della decisione del tribunale lombardo, una sorta di referendum sulla propria persona.
Anche l’attivismo del presidente della Camera sulla legge elettorale è un segnale sfavorevole per la tenuta della maggioranza. Se l’ipotesi del governo tecnico trova ormai pochi seguaci, l’idea di un governo di scopo che abroghi il porcellum ha qualche possibilità di realizzarsi, cosa che spinge Berlusconi a immaginare il modo per interrompere, con la legislatura, anche queste manovre ostili. Del resto la Lega continua a preferire il bottino elettorale alla triste posizione di rendita in un governo screditato. Bossi ha accettato gli inviti alla prudenza del premier ma deve farei conti con la voracità dei suoi elettori che sognano di riequilibrare i rapporti nel centro destra con una immissione di decine di nuovi parlamentari nordisti. L’anatema del premier verso il proprio partito, considerato responsabile della caduta dei consensi, è un altro segnale della preparazione alle urne. Il fallimento dei tre coordinatori, il prevalere degli ex anennini in molte realtà periferiche, spinge verso una ridefinizione dell’organizzazione in chiave elettorale con l’emergere dei propagandisti al posto degli affaticati notai della crisi.
Anche il partito di Fini sente il clima del voto anticipato. Il presidente della Camera ha certamente bisogno di più tempo per organizzare la sua nuova creatura ma deve combattere due pericoli. Da un lato il rischio di essere riassorbito nel gioco stanco di un governo ormai alle corde, dall’altro il lavorio della galassia centrista che cerca di recuperare gli scontenti del berlusconismo. Il calo dei consensi al Pdl e la crescita del partito dell’astensione fanno pensare sia a Fini sia ai centristi che si sta avvicinando il momento magico della sfida di un altro agglomerato di centro-destra. Gli appelli a Montezemolo lanciati da questa parte del mondo politico sono il sintomo della ricerca frenetica di un pivot per mandare subito a canestro la palla dei moderati. Si sta creando su questa zona dello scacchiere politico un clima da grande evento, quasi si fiutasse la prospettiva, più volte annunciata da Rutelli, della creazione di una bolla elettorale in grado di sconfiggere Berlusconi e di far saltare il vecchio bipolarismo. Anche l’attivismo dell’ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari indica come il partito trasversale dei delusi del Pd e del Pdl stia cercando nuove soluzioni e persino nuove sigle elettorali.
A sinistra Bersani continua la sua faticosa tessitura della tela di Penelope. Il segretario del Pd è ormai convinto che il voto è inevitabile e per la prima volta lo considera anche una via d’uscita dalla situazione confusa in cui versa la politica italiana. Negli ultimi giorni ha cercato di dare una piattaforma credibile al suo partito e ha messo in guardia contro chi non vede che Berlusconi è «un osso duro». Dalle sue parole è emersa anche la convinzione che i colpi di coda del berlusconismo possono dar luogo a situazioni imprevedibili e a forzature. Per questo ha accelerato sul tema della riforma della legge elettorale e sulla necessità di costruire nuove alleanze. La politica dei due cerchi, una grande alleanza repubblicana con le forze che si oppongono al premier e una coalizione con le forze più affini, lo ha portato nelle ultime ore a lanciare un appello ai moderati e all’Udc e a stringere un patto, che ha al centro il tema delle primarie, con Nichi Vendola. I sondaggi non favorevoli non stanno spingendo Bersani all’arroccamento ma ad occupare il centro della scena nella convinzione che solo in questo modo sarà possibile recuperare consensi.
Se le cose stanno così la descrizione di un Pd terrorizzato dal voto appare stereotipata. La verità è che tutti ormai considerano ineluttabile lo scioglimento delle Camere, soprattutto preferibile a una situazione di continuo degrado della politica con un governo ormai incapace di gestire più della ordinaria amministrazione. Se il voto a marzo appare la soluzione più credibile, la vera incognita è con quale governo il paese sarà chiamato a votare.