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 2010  ottobre 14 Giovedì calendario

BOMBA A OROLOGERIA PER IL SULCIS

C’è una mina ambientale innescata a due passi dal mare azzurro del Sulcis, in Sardegna. Una bomba ecologica dello stesso genere di quella esplosa in Ungheria, che ha contaminato il Danubio compromettendone l’ecosistema per i prossimi dieci anni, ma con un potenziale inquinante più che doppio. È la discarica a cielo aperto dei fanghi rossi di Portoscuso, un bacino di scorie argillose, essenzialmente prodotte dalla lavorazione della bauxite, che il vicino impianto dell’Eurallumina emetteva fino a poco più di un anno fa nella misura di 1 milione di metri cubi all’anno e che ha dovuto bloccare – mettendo 350 persone in cassa integrazione e mandando in crisi altrettanti lavoratori dell’indotto – per un’ordinanza urgente della magistratura e il conseguente sequestro dell’impianto, dopo un sopralluogo dei Carabinieri del Nucleo ecologico.

Ma i fanghi tossici, segnalano allarmati gli ambientalisti, sono ormai già stati fatti in parte percolare nella falda acquifera e, in parte dalla falda sono già filtrati nelle fogne, facendo saltare tombini e condutture in paese, e in mare, nel porto. Inoltre, le pioggie di questi giorni hanno ripreso a minacciare la tenuta degli argini dell’enorme invaso, che sono considerati molto precari.

Il 5 ottobre scorso, alla presidenza del Consiglio, s’è svolta una conferenza dei servizi con tutte le parti coinvolte – governo, enti locali, privati – per cercare nuove soluzioni sia alla crisi ecologica che a quella, connessa, occupazionale: «Ma i contenuti dell’incontro sono rimasti riservati!», dice incredulo Roberto Puddu, il dirigente sindacale Cgil che a Cagliari segue la vertenza.

Per ricostruire una vicenda che ha del surreale e che costituisce una minaccia ecologica con pochi precedenti – oltre a una assurda ingiustizia sociale, perchè se c’è un mercato che tira, oggi, è quello dell’alluminio! - bisogna risalire addirittura al ’91, quando un decreto governativo inserì l’area di Portovesme e Portoscuso tra le nove «a rischio ambientale»: ma senza alcun esito pratico.

All’epoca, il principale operatore della zona era l’Efim, attraverso la Safim e, appunto, il gruppo Alluminia. Alcuni anni fa, prima di essere ceduta al gruppo russo Rusal, la Euroallumina aveva avviato un procedimento nuovo per la depurazione dei fanghi, che sono trattati con acqua di mare e quindi adeguatamente ritrattati dopo l’uso possono essere riscomposti in acqua di mare pulita e materiale inerte, non più tossico, utilizzabile in edilizia o comunque in discarica senza danni: ad occuparsene era la Wahoo, un’azienda milanese ad alta tecnologia, che fa parte del gruppo Cidi, con un impianto pilota. Subentrando nella proprietà, però, la Rusal sospende il ricorso alla depurazione e riprende a scaricare tutti i fanghi nel bacino, che nel frattempo continua a crescere di dimensioni, sia come estensione che come altezza di argine, oggi a quota 18 metri. Anche perchè in esso scaricano i propri fluidi di scarto anche le altre aziende del comprensorio: in particolare l’americana Alcoa, che tratta l’alluminia per farne alluminio industriale, e la vicina centrale dell’Enel.

Il bilancio idrico della Rusal viene presentato come in equilibrio, anche se, dicono gli ambientalisti, il bacino sarebbe stato aiutato a svolgere il suo lavoro con delle trivellazioni dal fondo verso la falda... Sta di fatto che, durante il piovoso autunno del 2008, la percolazione dell’acqua dal bacino alla falda fa esplodere i tombini, i Carabinieri intervengono, la magistratura sequestra e la produzione si ferma, poco più di un anno fa. Il 4 agosto scorso, a Roma, la pressione dei sindacati induce il ministero dello Sviluppo economico a presentare un piano da circa 60 milioni d’investimento per far ripartire la produzione dell’Euroallumina con alcuni sgravi economici significativi, soprattutto sull’acquisto dei combustibili, per consentire anche una serie di interventi di tutela ambientale, che però per un terzo avrebbero dovuto essere a carico dello Stato, un terzo della Regione e un terzo dei privati: ma niente da fare, la Rusal ha preso tempo e a oggi non ha ancora risposto. I sindacati hanno ripreso le agitazioni, bloccando l’altro ieri per molte ore la Carlo Felice, la superstrada nord-sud della Sardegna, e manifestando a Cagliari davanti al consiglio regionale: i 350 lavoratori Eurallumina sono in cassa integrazione da quasi 2 anni e i termini massimi stanno per essere raggiunti. Intanto sul Sulcis ha ricominciato a piovere, e sono quattro giorni che non smette.