Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  ottobre 12 Martedì calendario

«IO, INGEGNERE ITALIANO, LAVORO AL PIANO PER SALVARE I MINATORI IN CILE»


Una prova di efficienza e di tecnologia. Una lotta contro il tempo per salvare la vita di 33 uomini intrappolati a 622 metri sotto terra. Sepolti. Il governo cileno ha fatto tutto quello che poteva orchestrando un salvataggio che non si era mai visto nella storia del mondo. Tre piani, tre soluzioni alternative tutte ancora al lavoro anche se la “B”, è quella che ha raggiunto i minatori, ma qualsiasi cosa accada, le altre sono pronte a essere messe in pratica. Stefano Massei, un ingegnere pisano che da due anni lavora in Cile per Enel Green, è il responsabile della soluzione “C”, quella ispirata agli scavi petroliferi.
Il rivestimento di 90 metri è finito, la marina militare cilena ha con successo testato la capsula, che cosa accade ora?
«Montato l’argano, hanno fatto le prove di discesa, doveva essere verificato tutto nei minimi dettagli. La capsula deve scendere e risalire senza intoppi. Poi cominceranno il recupero».
Quindi potrebbero anche cominciare stasera.
«Si, il problema è essere sicuri al 100% prima di tirare su le persone che la capsula non si fermi lungo il percorso».
Che ne è delle altre due soluzioni, i lavori si fermano?
«Assolutamente no, andremo avanti fino a quando non saranno fuori tutti, questo secondo le direttive del ministro delle risorse minerarie, in modo tale che qualora si verificasse qualsiasi problema, saremo rapidi nel passaggio ad una delle altre possibilità».
Con quale criterio sono state scelte le varie soluzioni?
«Il primo piano era quello immediatamente disponibile, una macchina per la costruzione di ciminiere per l’evacuazione dell’aria dalle gallerie era la soluzione più lenta, ma subito disponibile perché bastava spostare un macchinario. La seconda, quella che ha avuto successo, riguardava solo l’allargamento con una sonda di un pozzo di 12 centimetri già presente, quindi si è solo dovuto seguire la linea guida. La nostra, quella con le possibilità più ampie, la terza, è partita da zero creando un nuovo tunnel che ha un lato di 2 metri, che si è dovuto districare tra le gallerie. All’inizio non si sapeva quale fosse la soluzione migliore, il governo ha voluto tutte le alternative possibili, in modo che se una avesse fallito, ce ne fosse subito un’altra a disposizione».
L’organizzazione è stata incredibile. Dall’assistenza alle famiglie, alle risorse tecnologiche, agli esperti che sono arrivati.
«Sono state messe a disposizione risorse ampie, è stato curato ogni dettaglio, non ci sono stati ostacoli all’attività, né concorrenza tra le varie sonde, tutti hanno collaborato alla costruzione dei vari pozzi, noi abbiamo messo a disposizione materiali anche per il piano B, ci sono stati scambi tecnici frequenti e questo ha voluto dire la buona riuscita del lavoro. Massima collaborazione anche perché qui non si tratta di lavoro o di questioni economiche, ma di salvare delle vite e in tempi stretti».