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 2010  ottobre 12 Martedì calendario

ECCO COME 150 TALEBANI HANNO ATTACCATO I NOSTRI

Si chiama «guerra per il controllo delle strade» e rappresenta il nuovo capitolo della presenza del contingente italiano nelle regioni occidentali dell’Afghanistan. Lo rivela il calvario non ancora finito del lungo convoglio di mezzi militari italiani e camion civili afghani aggredito sabato mattina dai talebani. Non c’è solo l’attentato che ha causato la morte dei quattro alpini del Settimo reggimento della Julia. Gli oltre 70 automezzi sono stati attaccati ancora dai talebani e dalle milizie loro alleate. «Almeno altre tre volte», secondo i giornalisti locali. «Una volta, domenica alle cinque e mezza di mattina e in modo leggero, alcune sventagliate di mitra che non hanno causato danni», ci dice invece a Herat il comandante in capo del contingente italiano, generale della Brigata Alpina Taurinense, Claudio Berto.
Le ultime notizie a ieri sera sono che il convoglio è fermo nelle due basi Nato-Isaf della zona di Delaram, un incrocio delicatissimo sulla statale che da Herat porta alla provincia di Farah e immette, dopo pochi chilometri, a quella dei campi di battaglia di Helmand. I giornalisti afghani che operano nella zona sono chiari: «Gli italiani al momento sono protetti. Ma se dovessero muoversi, nuovi attentati sono sempre possibili. Il loro convoglio è lento, ormai noto, ben visibile. I talebani possono tornare a colpire se decidessero di ripartire verso Herat», afferma tra gli altri Abdel Malek, corrispondente da Farah per la Associated Press. Berto è più riservato: «L’operazione è ancora in corso. Se vogliamo bene ai nostri soldati è meglio rivelare pochi dettagli».
È ancora il generale a raccontare la vicenda del convoglio. «La sua missione è stata compiuta. Doveva trasportare materiale logistico — cemento, mattoni, celle frigorifere e tanto altro — utile agli alpini per rinforzare la loro base avanzata nella lunga vallata di Gulistan, che è stata di recente ceduta dai precedenti contingenti Usa e georgiani. Gli alpini l’hanno ribattezzata Ice, ghiaccio. L’attacco è avvenuto sulla via del ritorno, vicino alla base di Buji». A suo dire solo un mezzo italiano resta distrutto, con 3 o 4 camion. «I morti o feriti gravi tra gli aggressori potrebbero essere sino a 11», specifica. I giornalisti afghani riportano invece 25 mezzi (alcuni parlano di 18) del convoglio colpiti e «pochi talebani feriti». Il problema maggiore sono le strade, tratturi non asfaltati, dove è facilissimo nascondere le mine e gli esplosivi rudimentali. Gli autisti sono costretti a procedere quasi a passo d’uomo. E dopo i morti di sabato la velocità si è ulteriormente ridotta.
Un terreno e logiche di battaglia abbastanza nuovi per i soldati italiani. A Herat la situazione è più tranquilla e anche nelle zone montagnose del Baghdis, più a nord, i talebani sono meno organizzati. Sembra che nella zona di Farah operino invece con sempre più forza dal 2006 alcuni gruppi ben addestrati provenienti da Helmand e Kandahar. Testimoni diretti nella vallata del Gulistan ci dicono che l’imboscata era stata ben preparata: bombe e spari, con Rpg ultimo modello e mitragliatrici pesanti ben camuffate. Sembra che sabato mattina a tirare contro gli italiani fossero oltre 150 guerriglieri. Ma i gruppi di fuoco nella vallata superano globalmente le 800 unità. Tutti talebani? «Non solo», replica Berto. «La grande maggioranza sono banditacci, gruppi di criminali pronti a offrirsi mercenari al miglior offerente. Sono pochi, ma possono facilmente terrorizzare la popolazione. Da queste parti non conta il numero, bensì crudeltà e qualità delle armi». Tra i comandanti più noti ci sono i nomi dei mullah Zaken e Azim. Uomini che si muovono con facilità, a piedi, con i gipponi e soprattutto in motocicletta. Colpiscono e svaniscono sulle montagne, per riemergere qualche settimana dopo nelle «zone tribali» pachistane. «Ora gli italiani dovranno combattere duramente per il controllo delle vie di comunicazione», sostiene un dipendente delle ong afghane a Farah (non vuole dare il nome). «Sino al 2006 i talebani avevano paura, ricordavano nel loro sangue la sconfitta del 2001. Ma ora sono tornati a sentirsi invincibili, come al tempo delle guerre contro i russi e i mujaheddin».
Lorenzo Cremonesi