Varie, 12 ottobre 2010
Tags : Jean-Christophe Grangé
Grange JeanChristophe
• Parigi (Francia) 15 luglio 1961. Scrittore • « [...] lo scrittore di gialli più letto in Francia e il più richiesto dal cinema [...] è stato ribattezzato lo Stephen King francese. Per il successo dilagante dei suoi thriller, il gusto per intrecci nerissimi e perversi, per l’occupazione di tutti o quasi i media disponibili: libri, fumetti, radio, e naturalmente il cinema [...] sono stati portati sullo schermo I fiumi di porpora e L’impero dei lupi. [...] “Quando mi laureai, alla Sorbona, con una tesi su Flaubert, pensavo che la letteratura fosse tutto: i miei punti di riferimento erano Flaubert e Proust, volevo diventare uno scrittore seguendo quegli esempi: vita sedentaria, nessun contatto con la realtà esterna. Nel frattempo, però, avevo bisogno di guadagnare. Così, grazie ai miei suoceri, trovai un posto di copy-writer in un’agenzia di pubblicità. Cresciuto nel disprezzo totale del piccolo borghese e dei suoi consumi, mi trovai a lavorare proprio per i suoi sogni e bisogni. Mi ricordo ancora dei testi che dovevo scrivere per le creme contorno occhi. Un incubo. Fortunatamente, grazie a quel lavoro, avevo conosciuto dei fotografi, facevano dei fotoreportage in giro per il mondo, avevano bisogno di qualcuno che scrivesse i testi. Cominciai a lavorare per uno di loro, Pierre Perrin, mi trovai bene, dopo poco gli proposi di viaggiare insieme. Cambiai lavoro e vita”. Seguono dieci anni in giro per il mondo. Testimoniati dai servizi di fotogiornalismo che venivano acquistati dai rotocalchi europei: Paris Match e Figaro Magazine in Francia, Stern in Germania, in Spagna e anche in Italia (“molti servizi sono usciti su Sette, a cominciare dal primo realizzato sulle tribù nomadi fra Birmania e Thailandia”). “La mia vita era completamente mutata, visitavo Paesi lontanissimi, continenti diversi, io che fino ad allora ero andato solo in Spagna in vacanza. Scoprivo che la realtà esiste, che la vita vera è una cosa molto diversa dalle elucubrazioni intellettuali. Ero sempre tra un aereo e l’altro e per occupare il tempo leggevo gialli, polizieschi, thriller. Una scoperta assoluta di libri e autori che imparai ad apprezzare, sinceramente trovandoli più interessanti di Joyce e Proust. In poco tempo lessi tutto e tutto insieme, dai classici hard boiled americani Chandler e Hammett, ai polar francesi delle diverse generazioni fino a Léo Malet e Sébastien Japrisot, anche i nuovi americani come Martin Cruz Smith e James Ellroy. Allora ho ricominciato a pensare di poter scrivere: avevo un modello, conoscevo realtà e mondi molto interessanti; da qui è venuta l’idea del primo romanzo, Il volo delle cicogne. Ma intanto mi avevano chiamato a scrivere sceneggiature per il cinema, a rielaborare trattamenti; mi pagavano bene, anche se da quel lavoro è uscito un solo film, Vidocq”. Il primo romanzo uscì nel ’94. “Sì, Il volo delle cicogne pubblicato da Albin Michel. Ma non vendette molto, e solo in pochi se ne accorsero. Allora, per il nuovo libro che avevo in mente, presi una decisione drastica: se Il volo si ambientava in regioni esotiche e lontane, nei Fiumi di porpora feci l’opposto: concentrai l’azione in una piccola cittadina della provincia francese. Era un giallo all’americana, ma con dei gendarmes delle Alpi francesi. All’editore piacque molto, tanto che decise di pubblicarlo nella stessa collana dei gialli di Mary Higgins Clark: la cosa funzionò, la gente era incuriosita da quel francese sconosciuto che pubblicava nella stessa serie della regina del poliziesco. In pochi giorni era il numero uno in classifica”. Da allora, ogni nuova uscita è stata salutata dallo stesso successo: L’impero dei lupi, Il concilio di pietra, La linea nera [...] In ogni romanzo cambia il personaggio dell’investigatore, ma certe caratteristiche rimangono costanti. “C’è sempre una serie di delitti efferati, apparentemente senza legami fra loro, in realtà uniti da un disegno che l’investigatore cerca di decifrare. L’assassino, in genere, è abitato dalla follia, ogni delitto può essere letto come una traccia, un segno che serve a ricostruire il suo percorso come in una carta geografica. Il suo operato rimanda a traumi infantili, a fatti della vita privata: se c’è un complotto nei miei gialli è in questo senso. Per me il poliziesco dev’essere questo lavoro di decifrazione, questo tentativo di ricostruire un progetto folle, malato” [...]» (Ranieri Polese, “Corriere della Sera” 27/7/2006).