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 2010  ottobre 12 Martedì calendario

TELEFONATE, SMS, ORARI. LE OMBRE SU SABRINA — È

stata la prima ad agitarsi quando Sarah tardava di pochi minuti, la prima a organizzare le battute di ricerche nelle campagne di Avetrana, la prima a stampare e distribuire volantini e fotografie, la prima a volere la fiaccolata del 9 settembre. È stata 42 giorni in prima linea, Sabrina, con poche lacrime, molta tenacia e tutte le energie spese per la cuginetta Sarah, giorno e notte. Cercarla, cercarla, cercarla: solo questo ha fatto. Fino alla sera del 6 ottobre, la peggiore. In un colpo solo ha saputo che Sarah era morta e che a ucciderla era stato suo padre, Michele Misseri, capace di strangolare quella ragazzina, caricarla in macchina, portarla in campagna, violentarla e buttarla in un pozzo. «Un buon padre di famiglia fino a quel giorno», per dirla con le parole di Sabrina.
Ecco. Questo è uno dei dettagli che non quadrano. Davvero Sabrina, sua sorella Valentina o la madre Cosima non hanno mai captato segnali che potessero farle sospettare del capofamiglia? Loro giurano di no. Eppure agli atti risulta un’intercettazione ambientale che dice il contrario. È fine settembre. Michele Misseri ha appena «ritrovato casualmente» il telefonino di Sarah, dice di averlo visto tornando a prendere un cacciavite dimenticato proprio nel campo in cui aveva lavorato il giorno prima. Valentina dice a sua madre: «Non è che c’ha preso Sabrina e che il film che si è fatta che è stato papà è vero?»; «Che ti devo dire» risponde Cosima, «dice un mucchio di stupidate, anche ’sta storia del cacciavite... ma come fa a dire che gli serviva per far funzionare la macchina delle foglie se quella macchina l’ha usata dopo che è andato via dal campo?».
Sabrina, dunque, si era «fatta il suo film». Aveva intuito dopo il finto ritrovamento del telefonino. Chi la conosce e l’ha vista dopo quella data (il 29 settembre) dice che sembrava più tesa. E comunque mai ha mollato la presa: tutte le sue giornate per Sarah, mille interviste, telefonate senza sosta, i giri infiniti per le campagne... «L’ho vista crescere, per me era più di una sorellina. Come fa la gente adesso a dire certe cose?».
Adesso ci sono i sospetti, i dubbi di chi indaga. Gli orari che non tornano, per esempio. Dice Sabrina: «Quando la mia amica Mariangela è arrivata per andare al mare io ero sotto la veranda. Sono uscita e mentre uscivo ho chiesto a mio padre che era in garage se aveva visto Sarah. Lui ha risposto di no, io l’ho chiesto a Mariangela, in strada, e anche lei ha detto di no. Sono tornata in veranda a prendere la borsa e sono saltata nella macchina di Mariangela per andare a cercarla. Mentre salivo telefonavo a Sara e mio padre era davanti al garage. Il telefono suonava. Al secondo tentativo era staccato». Ma Mariangela dice che invece quando lei è arrivata Sabrina era per strada, molto agitata, e che Michele non era davanti al garage.
Il racconto si Sabrina non torna nemmeno con quel che dice suo padre Michele: «Mentre strangolavo Sarah suonava il suo cellulare, poi è caduto dalle sue mani e si è staccata la batteria». Quindi, se ha ragione lui, Sabrina non poteva vedere suo padre mentre telefonava a Sarah.
Altro dettaglio: Sabrina manda a Sarah un messaggio via sms alle 14.10: «Confermato, andiamo al mare». Ma la conferma dell’amica Mariangela, la sola delle tre con auto e patente per raggiungere il mare, arriva alle 14.20.
E ancora: se Sabrina era in veranda ad aspettare, si chiedono gli investigatori, come mai non vede Sarah passare e scendere in garage? E soprattutto: perché Sarah si infila lì sotto se davvero suo zio l’aveva già molestata alcuni giorni prima? Lui su questo punto non sa essere chiaro anche se gli psicologi del carcere sostengono che non abbia «disturbi dell’intelligenza e del pensiero». «E’ un potenziale suicida» dicono. Ma Michele più che ad uccidersi pensa a come passare il tempo: «Senza far niente qui dentro mi annoio. Fatemi lavorare».
Giusi Fasano