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 2010  ottobre 11 Lunedì calendario

GIORNALI, PM, QUESTIONI DI PRINCIPIO. SE GLI ITALIANI NON S’INDIGNANO

Sky ha posto ai suoi ascoltatori - cito a memoria - questo quesito: «È giusto che la magistratura abbia fatto una perquisizione "preventiva" al Giornale? Per rispondere "sì" premete il tasto X, per rispondere "no" il tasto Y». In Inghilterra (o negli Stati Uniti) chi chiedesse se sia giusto (o sbagliato) fare una perquisizione «preventiva» a un giornale, nella prospettiva che pubblichi un’ inchiesta - solo da noi la si chiama dossier - sul presidente degli industriali sarebbe preso per pazzo. Nell’ Italia delle inchieste giornalistiche chiamate dossier, invece, si pone tale quesito - come se perquisire un giornale fosse la cosa più naturale del mondo - perché, evidentemente, si sa (Sky, dopo tutto, ha fatto il suo mestiere) da che piede zoppichino gli italiani. E, infatti, gli italiani interpellati non si indignano, non danno del pazzo a Sky, ma rispondono: il 60 per cento «sì» (la magistratura ha fatto bene) e il 40 «no» (ha fatto male). Questa è la differenza fra un Paese normale e un Paese anormale, per non dire fra uno civile e l’ altro incivile. Insomma, che, piaccia o no, con la testa - la camicia l’ abbiamo cambiata (e più volte) - siamo ancora fermi al ’ 22. Non diversamente da Sky si è comportata la signora Marcegaglia, che conosce altrettanto bene i suoi polli. In un Paese normale, avrebbe aspettato che uscisse l’ inchiesta, o dossier, comunque la/lo si definisca, e poi - se le cose riferite le fossero parse lesive della sua Persona - avrebbe querelato il giornale e atteso fiduciosamente la sentenza di un Tribunale. Da noi, invece, la presidentessa di Confindustria non ha telefonato al direttore - cosa già in sé anomala in un Paese normale - ma all’ editore, al presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri (cosa, peraltro, usuale in un Paese anormale), per sapere come stavano le cose, e confessato a magistrati molto «ricettivi» allo scandalismo di sentirsi minacciata da una (supposta) inchiesta giornalistica (o dossier), che (forse) sarebbe uscita/o di lì a qualche giorno. Cose da pazzi. Lo dico oggettivamente, senza pregiudizio nei confronti delle parti in causa. Non vorrei, infatti, essere convocato da qualche Procura come «giornalista liberale (ahi) che commenta i fatti sottolineandone (ahi) la surrealtà». Voglio credere, e non ho alcuna ragione di dubitare, che la signora Marcegaglia non abbia nulla da nascondere né come industriale né come presidente di Confindustria. E sono convinto che non tema nulla e non avrebbe fatto nulla se vivessimo in un Paese normale nel quale non si scatenano campagne di delegittimazione personale a mezzo stampa. Ma dell’ opinione che, invece, tutti abbiano sempre qualcosa da nascondere - parafrasando Voltaire, «intercettate, intercettate, qualcosa uscirà» - è, evidentemente, una parte della magistratura. «A che serve ascoltare Porro?», si chiede Il Riformista di Antonio Polito, che così conclude: «E quando la privacy è quella dei giornalisti, si chiama libertà di stampa». Sottoscrivo. Come i lettori certamente intuiscono, cito un giornale di sinistra per cercare di mettermi (temo vanamente) al riparo - liberale sì, fesso no - in questo Paese anormale dall’ accusa di difendere Feltri o, peggio, Berlusconi. Poiché, però, la madre dei cretini è sempre incinta, preciso ulteriormente - rifacendomi ancora una volta all’ «odiata Albione» (per quelli fermi al ’ 22) - che sto parlando di principi (come fanno i gentiluomini), non di persone (come fa la servitù), secondo il noto proverbio inglese. Vado avanti ragionando e cercando di far ragionare. Conversazioni come quella del vicedirettore del Giornale, Nicola Porro, col portavoce della signora Marcegaglia, Rinaldo Arpisella, scherzosa o maliziosa che fosse - e quella stessa della signora Marcegaglia a Confalonieri - ne corrono a centinaia, tutti i giorni, sul filo del telefono, fra i responsabili delle Relazioni esterne di aziende e di enti pubblici o privati e il mondo, compreso quello dei media, che li circonda. Se vogliamo metterla giù dura, come ha fatto la magistratura, le parole di Porro sono un tentativo di «violenza privata»; la telefonata della Marcegaglia a Confalonieri è un tentativo di impedire alla libera stampa di fare il proprio mestiere. Poiché scrivo per un giornale né antiberlusconiano né filoberlusconiano, ma vivaddio per il Corriere della Sera, che cerca di essere liberale, non mi scandalizzo e dico che, fino a prova contraria - di Codice civile e penale, e di Costituzione - siamo ancora «nella normalità di un Paese anormale» (diciamo corporativo); non nella società criminale del Caimano o a un tentativo (oltre tutto malriuscito) di impedire alla libera informazione di fare il proprio mestiere da parte dei «poteri forti» (una corporazione, per restare in tema). È un’ incombenza, quella del moralista a senso (politico) unico, che lascio volentieri a chi scrive su altri giornali, permettendomi solo di dubitare che si tratti di giornalismo. Concludo con una lettera di un mio lettore che mi pare meritevole di attenzione da parte della classe politica e non solo di quella di maggioranza. Nel «Dubbio» di sabato scorso avevo escluso che spetti a una Commissione parlamentare indagare sull’ uso che singoli magistrati fanno delle intercettazioni. Mi scrive il lettore: «Dissento. In uno Stato costituzionale, il Parlamento ha il diritto-dovere di conoscere le ragioni per le quali lo Stato deve pagare 213 milioni di euro per le carcerazioni illegittime, preventive e non. Un fenomeno vasto e drammatico. Anche perché il Parlamento potrebbe/dovrebbe tenerne conto ai fini della sua attività legislativa - motivazione tipica delle Commissioni parlamentari d’ inchiesta - cioè al fine di raddrizzare eventuali storture normative. Un’ indagine siffatta implica l’ audizione del Guardasigilli, del Presidente e del Procuratore generale della Cassazione, del vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura e dei capi dei principali uffici giudiziari. Non più di trenta-quaranta persone in tutto. Nel vuoto di iniziativa da parte del Csm, sarebbe un’ iniziativa di grande spessore democratico-liberale e costituzionale. Ma dov’ è questo slancio democratico in un Paese dove l’ uno, il Cavaliere, ha il solo interesse a liberarsi dei suoi processi e gli altri quello di fotterlo in qualunque modo?»
Piero Ostellino