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 2010  ottobre 12 Martedì calendario

Ora il regime arresta anche il figlio di Sakineh - Chi dà retta a Mahmoud Ah­madinejad e crede veramente che la vicenda di Sakineh Moham­mad Ashtian sia una bufala mon­tata dai media occidentali è servi­to

Ora il regime arresta anche il figlio di Sakineh - Chi dà retta a Mahmoud Ah­madinejad e crede veramente che la vicenda di Sakineh Moham­mad Ashtian sia una bufala mon­tata dai media occidentali è servi­to. Mentre Sakineh attende che le infilino il cappio al collo, la perse­cuzione si estende anche ai suoi figli, ai suoi legali e ai giornalisti impiccioni. Il nuovo atto del caso Sakineh si apre domenica nello studio dell’avvocato Houtan Kian. Nell’ufficio entrano prima Ghaderzadeh, uno dei due figli della condannata, e subito dopo una coppia di giornalisti tede­schi. Grazie all’aiuto telefonico di Mina Ahadi, portavoce del «Comi­t­ato Internazionale contro la Lapi­dazione » impegnata a tradurre la conversazione i due reporter fan­no il punto sulla situazione di Sakineh e sulle minacce subite dai suoi due figli. Il reportage du­ra poco. All’improvviso la signora Ahadi sente le urla di uno scono­sciuto e la voce di uno dei due gior­nalisti che le grida «Ora dobbia­mo chiudere ». Da quel momento il silenzio. Spento il telefono dei giornalisti,spenti quelli dell’avvo­cato e di Ghaderzadeh. Solo ieri ­dopo l’allarme lanciato dal «Co­mitato contro la Lapidazione» le autorità giudiziarie di Tabriz an­nunciano il fermo di due giornali­sti tedeschi accusati di esser arri­vati nella città senza l’accredito stampa. Sulla sorte di Ghaderza­deh e dell’avvocato Kian neppure un fiato. Per intuire la loro sorte non serve Sherlock Holmes. Non più di dieci giorni fa Ghaderza­deh e suo fratello si erano appella­ti al presidente Berlusconi chie­dendogli di salvarli dalla persecu­zione delle autorità e di aiutarli ad ottenere asilo politico nel no­stro paese. L’intervento della Far­nesina già mobilitata non arriva in tempo. Ghaderzadeh e l’avvo­cato si trovano ora in una delle tante segrete in cui sparisce chiunque disturbi il regime o rive­li verità scomode. Verità che coin­volgono il presidente iraniano. Lo scorso 18 settembre Mah­moud Ahmadinejad approfitta di un tour newyorkese alle Nazioni Unite di New York per denuncia­re l­a faziosità degli organi di stam­pa occidentali. A suo dire la signo­ra Sakineh non è mai stata con­dannata alla lapidazione per adul­terio e l’intera faccenda è un’in­venzione dei media occidentali. Il colpo da maestro del presiden­te pasdaran è l’invito ad occupar­si - piuttosto - del caso di Teresa Lewis, la condannata americana mandata a morte proprio in quei giorni. Per tante anime belle occi­dentali, sempre pronte a indignar­si per le colpe americane e ad ignorare le nefandezze dei vari re­gimi illiberali, il consiglio del pre­sidente è un invito a nozze. In po­che ore fanno «mea culpa», chiu­dono il caso Sakineh derubrican­dolo al rango di bufala e tornano a dedicarsi anima e corpo all’anno­so dibattito sulla pena di morte in America. Poi il 28 settembre il pro­curatore Gholam-Hossein Moh­seni- Ejei conferma la condanna a morte di Sakineh facendo sapere che la donna verrà impiccata per complicità nell’omicidio del ma­rito. «La sua condanna a morte per omicidio ha la precedenza sul­la punizione per l’adulterio » spie­ga il procuratore aggiungendo che gli «organi giudiziari iraniani non si faranno influenzare dalla propaganda dai paesi occidenta­li ». E visto che le principali fonti dei media occidentali, il figlio di Sakineh e il suo avvocato, sono in galera la campagna probabilmen­te manco riprenderà. Ci svegliere­mo una mattina e vedremo la foto del cadavere penzolante di Saki­neh. Con buona pace delle anime belle e della loro cieca fiducia in Ahmadinejad.